Perù: discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari

10 Luglio 2006

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Perù: Amnesty International denuncia la discriminazione dei servizi sanitari nei confronti delle donne e dei bambini più poveri

CS73-2006:11/07/2006

In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International afferma che la natura discriminatoria dei servizi sanitari per la maternità e l’infanzia in Perú lascia morire ogni anno centinaia di donne e bambini poveri e nega a molti di questi ultimi il diritto a un’identità.

Un servizio sanitario all’altezza della situazione per la maternità e l’infanzia sembra essere un privilegio per ricchi. Le donne più povere, che corrono i maggiori rischi durante la gravidanza e il parto, e i bambini emarginati che hanno più alte probabilità di contrarre malattie nei primi anni di vita, sono coloro che ricevono minore protezione‘ – si legge nel rapporto di Amnesty International.

L’organizzazione per i diritti umani denuncia anche come, nonostante il governo abbia sviluppato un sistema di servizi sanitari gratuiti per le comunità emarginate, cure mediche efficaci non siano a disposizione delle donne e dei bambini poveri.

La mancanza di investimenti adeguati e la distribuzione ineguale delle risorse destinate ai servizi sanitari fanno sì che ogni anno in Perú muoiano centinaia di donne e bambini per cause che sarebbero facilmente evitabili‘ – si legge ancora nel rapporto.

Secondo dati ufficiali, soltanto nel corso del 2000, il tasso di mortalità alla nascita è stato del 71 per 1000 nel dipartimento di Huancavelica, uno dei più poveri del paese. Questa percentuale è cinque volte superiore a quella della capitale Lima, dove nello stesso anno sono morti alla nascita 17 bambini su 1000.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Who) ha stimato che nel 2004, durante il travaglio, sono morte 410 donne ogni 100.000. Questa percentuale è inferiore solo a quella di Haiti, Bolivia e Guatemala, i tre paesi più poveri del continente.

Il rapporto di Amnesty International, pubblicato nel contesto della III Conferenza sanitaria nazionale, denuncia anche la discriminazione subita dalle poche persone che riescono ad avere accesso ai servizi sanitari.

Se vai (all’ambulatorio) vestita male, ti fanno attendere di più. Chi arriva dopo ma è vestita meglio passa per prima. Se protesti, è pure peggio…‘ – ha raccontato ad Amnesty International una donna di Iquitos, nella regione amazzonica.

In altre zone del Perú, le donne indigene che decidono di non recarsi, o che non sono in grado di recarsi, presso le strutture sanitarie per partorire, vengono multate e non viene loro rilasciato il certificato di nascita.

A Finencio, un contadino di Huanuco, nel Perú centro-orientale, è stato chiesto di pagare una multa equivalente a 30 dollari per aver permesso la nascita di suo figlio in casa. Per pagarla, avrebbe dovuto vendere una tonnellata di patate. Non avendo i soldi, la direzione sanitaria locale gli ha negato il certificato di nascita del figlio, che pertanto è privo di un’identità.
Nel suo rapporto finale, la Commissione per la verità e la riconciliazione aveva affermato che tra le principali cause del ventennale conflitto armato vi erano state la discriminazione e il mancato accesso ai diritti economici, sociali e culturali per i poveri, particolarmente per le donne e le popolazioni indigene.

La discriminazione nei confronti delle donne e dei bambini emarginati è un problema annoso in Perú. Il nuovo governo, secondo Amnesty International, ha ora l’occasione per cambiare la situazione stabilendo la giusta priorità per il paese: diritti umani per tutti, senza alcuna discriminazione.

Pertanto, Amnesty International chiede al nuovo governo di:

assicurare la fine della discriminazione e la diffusione di informazioni sulla disponibilità di servizi sanitari gratuiti per la maternità e l’infanzia per le persone socialmente escluse;
garantire che le donne che partoriscono in casa non siano multate;
assicurare che tutti i bambini abbiano un certificato di nascita;
garantire condizioni di parto idonee e un’adeguata formazione sui diritti umani per il personale medico.

FINE DEL COMUNICATO                                           Roma, 11 luglio 2006

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