Polonia, un anno fa la sentenza del Tribunale costituzionale contro l’aborto

26 Gennaio 2022

Tempo di lettura stimato: 3'

È trascorso un anno dal 27 gennaio 2021, giorno in cui è entrata in vigore la sentenza pronunciata il 22 ottobre 2020 dal Tribunale costituzionale della Polonia che ha reso impossibile l’accesso all’aborto in quasi tutte le circostanze, con un impatto devastante sulle vite delle donne.

Con quella sentenza il Tribunale costituzionale ha eliminato la “malformazione grave e irreversibile del feto o malattia incurabile che minacci la vita del feto” dalle cause legittime per abortire: cause che, prima della sentenza, riguardavano il 90 per cento delle circa 1000 interruzioni di gravidanza praticate ogni anno.

Dal 27 gennaio 2021 oltre 1000 donne si sono rivolte alla Corte europea dei diritti umani, sostenendo che la legislazione polacca causa gravi danni alle donne e viola i loro diritti alla riservatezza e alla libertà dalla tortura. 

Amnesty International e altre otto organizzazioni per i diritti umani (Centro per i diritti riproduttivi, Human Rights Watch, Commissione internazionale dei giuristi, Federazione internazionale dei diritti umani, Rete europea della Federazione internazionale per la pianificazione familiare, Women Enabled International, Women’s Link Worldwide e Organizzazione contro la tortura) si sono iscritte come terze parti alle cause avviate di fronte alla Corte europea dei diritti umani con l’obiettivo di fornire prive e analisi basate sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla legislazione europea e sulle linee-guida dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Insieme a Malta, la Polonia è lo stato dell’Unione europea con la legislazione più restrittiva in materia di aborto.

In Polonia l’aborto è permesso solo in caso di rischio per la vita o la salute di una donna incinta o se la gravidanza sia stata causata da uno stupro. In pratica, tuttavia, abortire è quasi impossibile pure per coloro che vi avrebbero diritto.

Ogni anno migliaia di donne lasciano la Polonia per abortire in altri stati europei mentre altre comprano all’estero pillole abortive o ricorrono all’aborto in modo non legale.