Porti aperti alle navi che trasportano bombe? Questa volta no!

22 Maggio 2019

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Gli ultimi dieci giorni sono stati davvero impegnativi per gli attivisti dei diritti umani di mezza Europa, ma ce l’abbiamo fatta.

La Bahri Yanbu, una nave da carico battente bandiera saudita, ha cercato di attraccare nei vari porti europei per fare il pieno di armi da portare a Gedda in Arabia Saudita.

Le associazioni per i diritti umani hanno scoperto che la Bahri Yanbu stava cercando di trasportare bombe e vario materiale militare destinato anche nella guerra in Yemen. Dopo aver caricato munizioni di produzione belga ad Anversa, ha visitato o tentato di visitare porti nel Regno Unito, in Francia e Spagna, per infine attraccare nel porto italiano di Genova all’alba dal 20 maggio scorso.

La Bahri Yanbu appartiene alla maggiore compagnia di shipping saudita, la Bahri, già nota come National Shipping Company of Saudi Arabia, società controllata dal governo saudita, che dal 2014 gestisce in monopolio la logistica militare di Riyadh.

Alla notizia che il cargo saudita puntava alle coste italiane, subito è scattato un tamtam irrefrenabile e senza precedenti tra Amnesty International e le altre associazioni che si occupano di diritti umani. Da oltre quattro anni denunciamo le violazioni dei diritti umani in Yemen a causa di una guerra intrapresa dall’Arabia Saudita a suon di bombe provenienti da qualsiasi angolo della terra, anche dalla nostra Sardegna.

Come non si vedeva da anni, associazioni locali, organizzazioni internazionali, sindacati si sono coordinati per mettere in piedi una protesta partecipata e condivisa nel porto di Genova all’alba di lunedì 20.  Abbiamo atteso conferme dai colleghi spagnoli e ricevuto le foto del cargo che lasciava il porto di Santander, abbiamo trascorso la notte tra venerdì e sabato a monitorare la velocità con cui il cargo abbandonava le coste spagnole e poi le francesi nel weekend e l’abbiamo attesa tutti insieme lunedì mattina alle 5:40 nel porto di Genova.

Sulla banchina genovese il cargo è stato accolto da un centinaio di portuali, attivisti di Amnesty International, cittadini solidali, antimilitaristi e scout.

Abbiamo diffuso diversi comunicati stampa e sollecitato le autorità a fornire risposte e chiarimenti, ma non è arrivata nessuna risposta dalle istituzioni.

Non abbiamo abbassato la guardia fino all’ultimo minuto. Per giorni hanno continuato a rincorrersi voci di possibili attracchi a Cagliari o La Spazia, i nostri attivisti sul territorio hanno fatto rete con altre associazioni, con i sindacati, per cercare di confermare o meno queste notizie.

Insieme abbiamo lavorato interrottamente per quattro giorni con un unico obiettivo: non permettere l’ennesimo carico della morte. Perché l’Italia, un paese che ripudia la guerra secondo la propria Costituzione, non può continuare a portare avanti i suoi scambi commerciali con l’Arabia Saudita sulla pelle dei civili yemeniti. Non può farlo anche perché esiste una legge, la 185/90 che glielo impedisce, e un trattato sul commercio internazionale delle armi, sottoscritto nel 2014, che lo vincola.

Alla fine la Bahri Yanbu la lasciato il porto di Genova la tarda sera del 20 maggio ed adesso è in viaggio verso l’Egitto senza caricare nuove armi, anche se non è chiaro se ci sia stato un cambio di programma o meno. Di certo, il lavoro di pressione delle organizzazioni non avrebbe ottenuto lo stesso risultato senza il coraggioso impegno dei portuali di Genova, sostenuti dai delegati Filt-Cgil, che hanno indetto uno sciopero per “non macchiarsi le mani di sangue”. E di certo noi non abbasseremo la guardia. È previsto un nuovo arrivo tra una decina di giorni e noi siamo pronti per ricominciare a monitorare le rotte del mare e quelle dei diritti umani.

Per non macchiare i nostri porti di sangue, avremo di nuovo bisogno di tutti!