Edu León / Fronteras Invisibles
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Il 3 luglio a Milano il calciatore Tiemouè Bakayoko è stato bloccato da un agente delle forze di polizia, mentre un’altra poliziotta puntava la pistola contro la persona rimasta in macchina.
Costretto a scendere dalla propria auto e perquisito dagli agenti, il calciatore è stato immobilizzato per diversi minuti. Una situazione che si è protratta per un po’, fino a quando gli agenti non si sono resi conto dell’errore. Non era Bakayoko la persona che stavano cercando.
Quello che è successo a Bakayoko, però, non è una disavventura, un incidente o un errore innocente. Presenta, con ogni probabilità, le caratteristiche di una profilazione etnica. È quanto Amnesty International ha dichiarato il 18 luglio, appena diventato pubblico un video, ripreso da un telefonino, su almeno una parte della vicenda. È quanto, dopo due settimane di silenzio, ha dichiarato lo stesso calciatore in una serie di storie su Instagram.
La profilazione etnica è la pratica che prende di mira individui o gruppi specifici in base alle loro caratteristiche senza un motivo obiettivamente giustificato, partendo da un presupposto generalizzato del loro coinvolgimento in attività criminali, spesso senza alcun reato specifico ancora da indagare: una sorta di “minacciosità preventiva” basata sul pregiudizio.
La profilazione etnica può essere portata avanti sia dalle istituzioni, come le forze di polizia, sia dalle singole persone. Sebbene molto spesso la polizia non riconosca la sua esistenza, si tratta di una pratica persistente in diversi paesi, soprattutto durante operazioni di arresto e perquisizione, controlli a posti di blocco stradali od operazioni antiterrorismo.
La profilazione può avvenire tramite l’individuazione di alcune caratteristiche degli individui, fisiche, di aspetto o di comportamento che possono dare una descrizione di possibili sospettati. Alcuni indicatori possono essere, per esempio, i tratti somatici, il modo di vestire e i luoghi frequentati, compresi quelli di preghiera.
Fermare e perquisire un individuo quando l’unico o il principale motivo per farlo è l’origine etnica o la religione equivale a una discriminazione diretta.
Le pratiche di profilazione etnica non sono, infatti, solo una “percezione” delle persone o dei gruppi coinvolti, ma un fenomeno preoccupante in contrasto con i diritti umani.
Gli effetti dannosi della profilazione etnica sono diversi. Questa pratica, infatti, rinforza pregiudizi e stereotipi nei confronti delle persone razzializzate, stigmatizzandole ancora di più e rilegandole ai margini della società.
Inoltre, le persone che subiscono questa profilazione, o percepiscono di essere prese di mira senza motivo giustificato, rischiano di perdere la fiducia nelle forze di polizia, rendendo poi difficile la collaborazione.
Si tratta per questo di una pratica controproducente: i casi risolti dopo aver fermato e perquisito persone sulla base delle profilazioni etniche sono pochi. Focalizzarsi solo sull’apparenza, piuttosto che su indicatori più oggettivi, è probabile che porti la polizia a sprecare tempo e risorse mentre si perdono le tracce di sospetti che non rientrano nel gruppo profilato.
Le persone nere, afrodiscendenti o con altri background migratori sono parte integrante dell’Unione europea da diverse generazioni; eppure, ancora oggi, molte di loro vivono quotidianamente discriminazioni e pregiudizi legati alla profilazione.
Le forze di polizia hanno l’obbligo di non commettere alcun tipo di discriminazione durante l’esercizio delle loro funzioni. Negli anni, però, in Europa non si sono dimostrate all’altezza della situazione.
In alcune occasioni, le forze di polizia hanno discriminato attivamente attraverso la profilazione etnica o l’uso eccessivo della forza contro determinati gruppi di persone.
Nonostante la mancanza di dati precisi, la profilazione etnica è molto frequente in tutto il continente europeo. In Italia, per esempio, il 71% delle persone immigrate o afrodiscendenti ha ritenuto che le forze dell’ordine si siano comportate in maniera irrispettosa durante i fermi di polizia, mentre solo il 14% delle persone bianche ha riscontrato lo stesso atteggiamento.
Ad oggi è difficile trovare dei dati precisi sulla profilazione etnica nel nostro paese. Il fenomeno è ancora poco osservato e monitorato dalle autorità, poco consapevoli di pregiudizi o stereotipi interiorizzati, e le persone razzializzate hanno difficoltà nel raccontare la propria esperienza in modo coeso.
Il fenomeno, però, è molto reale. Per contrastarlo, e garantire a tutte le persone di vivere senza paura, è necessario che le forze di polizia adottino misure per identificare la profilazione etnica e per trovare delle misure per eliminarla.
Le forze di polizia devono anche prestare attenzione a come le perquisizioni vengano percepite dai gruppi razzializzati, al fine di garantire il rispetto della dignità e delle differenze ed evitare la possibilità che la persona non collabori, sentendosi profilata, anche se il fermo è potenzialmente legittimo.
Sensibilizzare le forze di polizia sui propri pregiudizi e stereotipi interni è un passo imprescindibile per rendere la società un posto più sicuro per tutte le persone.