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di Laura Renzi, campaigner
Ogni individuo ha il diritto di protestare, riunirsi ed esprimere pacificamente le proprie opinioni, così come afferma l’art. 2o della Dichiarazione universale dei diritti umani. Da Piazza Tienanmen, nel 1989, alla Primavera araba nel 2010-13 e nel corso della storia, la protesta è stata sempre un catalizzatore per il cambiamento e un potente veicolo per raccontare al mondo la verità. La protesta, spesso ispirata da minoranze o da coloro che sono esclusi o emarginati, è un amplificatore che pone sotto i riflettori i problemi. Tra i fattori scatenanti della protesta troviamo l’ingiustizia sociale ed economica, l’autoritarismo, la discriminazione, il degrado ambientale e la repressione. Negli ultimi anni, anche in risposta alla rapida crescita digitale e alle reti di comunicazione, sono emersi nuovi movimenti sociali che oggi trascendono i confini nazionali o regionali. Sempre più persone, quindi, scendono in piazza (reale o virtuale che sia) a reclamare i diritti e sempre più governi percepiscono ciò come una minaccia al loro controllo. Attiviste e attivisti ovunque stanno sperimentando in prima persona le tattiche dei governi e delle forze di sicurezza per limitare, controllare e mettere fuori legge le proteste. In molte parti del mondo, coloro che esercitano il diritto di protesta in modo pacifico vengono molestati, picchiati, imprigionati e uccisi. Il diritto di protesta non è mai stato così minacciato come oggi.