Proteste di Gezi Park – Le testimonianze

30 Settembre 2013

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In rapporto pubblicato il 2 ottobre, Amnesty International ha accusato le autorità turche di aver compiuto violazioni dei diritti umani di massa nel tentativo di sopprimere le proteste di Gezi Park, nel giugno 2013.  Il rapporto di Amnesty International denuncia l’uso di proiettili veri, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua, pallottole di plastica e pestaggi che hanno provocato oltre 8000 feriti durante le proteste.

Amnesty International ha seguito le manifestazioni di Istanbul e Ankara e ha intervistato, in quattro diverse  città turche, decine di persone che sono state ferite dalla polizia, arrestate illegalmente, picchiate e sottoposte ad aggressioni sessuali durante la detenzione. 

Proiettili di plastica e proiettili veri

Hülya Arslan, neolaureata, era a Gezi Park con la madre, l’11 giugno, quando la polizia è intervenuta nel parco. Ha perso l’occhio destro e riportato una frattura al naso. I medici hanno detto a Hülya Arslan che le lesioni subite sono coerenti con quelle derivanti da proiettili di plastica.

Hülya Arslan ha raccontato ad Amnesty International che lei e sua madre si erano accampate nel parco per diversi giorni, ma in questa occasione erano andate solo per il giorno. Si è unita alla madre dopo il suo primo giorno di lavoro presso la società finanziaria Koç Finans, intorno alle 19:00.

Hülya Arslan ha descritto l’intervento della polizia nel parco: ‘Verso le 21:00 le luci si spensero all’improvviso. Da destra e sinistra nel parco venivano sparati gas lacrimogeni, sentivamo colpi intorno a noi. Non ci sono stati avvertimenti. Mia madre soffre di una patologia cardiaca e pensava di avere un attacco di cuore. C’era molta gente al centro del parco. Ci siamo andate. Mia madre pensava che sarebbe stato più sicuro. I miei due fratelli erano in un’altra parte del parco’.

Hülya ha così descritto la sparatoria: ‘C’era un contenitore di spazzatura dietro di me. Mi sentivo male a causa dei gas lacrimogeni, così sono andata dietro al contenitore. Penso che due colpi siano stati sparati da circa 10-15 metri di distanza. Era buio e quindi ho visto solo le scintille che uscivano dalla pistola. Il mio amico che era con me ha detto che tre persone in abiti civili stavano sparando. Mi hanno colpita all’occhio destro con un proiettile di plastica che mi ha rotto anche il naso. Ho perso molto sangue. Sono stata portata all’ospedale improvvisato nel parco. Ho cercato di non perdere conoscenza ripetendo il nome di mia madre e il numero di telefono. È stata chiamata un’ambulanza e sono stata ricoverata all’ospedale di Sisli Etfal’.
 
Quando Hülya Arslan ha parlato con Amnesty International il 28 giugno, era ancora in cura e aveva bisogno di una protesi oculare.

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Detenzioni in luoghi non ufficiali

Amnesty International teme che molti degli abusi denunciati contro i manifestanti e altri, tra cui violenze sessuali e percosse, abbiano avuto luogo dopo il loro arresto da parte della polizia dove c’erano le manifestazioni. In diversi casi, è stato segnalato che le persone sono state trattenute in strada e rilasciate dopo alcune ore, a volte dopo che i controlli di identità erano stati completati. In altri casi, le persone erano state tenute nei veicoli della polizia e autobus comunali per ore prima di essere rilasciate o sottoposte a custodia ufficiale. In un numero minore di casi è stato affermato che le persone sarebbero state trattenute dalla polizia in edifici al di fuori dei luoghi ufficiali di detenzione o delle strutture di detenzione della polizia, ma senza che la loro detenzione fosse registrata.

Amnesty International teme che in diverse città della Turchia, persone siano state tenute in detenzione non ufficiale, violando i diritti dei detenuti. In alcuni casi risulta che il fermo  non ufficiale sia stato utilizzato per motivi logistici dovuti all’elevato numero di fermi effettuati dalla polizia. Tuttavia, è anche evidente che il fermo non ufficiale sia stato utilizzato come metodo di intimidazione, come un mezzo per trattenere arbitrariamente le persone o per trattenere  le persone senza applicare le garanzie previste dalla legge, come ad esempio l’accesso ad avvocati e ai familiari e le visite mediche obbligatorie.

Secondo le leggi e gli standard internazionali, chiunque sia privato della libertà dovrebbe avere prontamente accesso alla famiglia e all’assistenza legale e dovrebbe essere trattenuto solo in un luoghi ufficiali di detenzione.  Le ricerche di Amnesty International hanno  dimostrato che quando le persone si trovano in detenzione segreta o in isolamento, gli abusi come la tortura e altri maltrattamenti sono più probabili.

Amnesty International chiede alle autorità turche di assicurare che tutti gli arrestati nel corso delle proteste siano stati o rilasciati o prontamente trasferiti in un luogo ufficiale di detenzione e che sia garantito il diritto ad accedere a un avvocato, ad avvisare un membro della famiglia e a un esame medico indipendente, dall’inizio della loro detenzione.

Un avvocato che assiste Deniz Kaptan ha raccontato ad Amnesty International che Kaptan è stato fermato da poliziotti in borghese vicino a Gezi Park la sera del 15 giugno e trattenuto per un’ora e mezza prima di essere rilasciato. Intorno alle 22:00, lo hanno ammanettato dietro la schiena con manette di plastica mentre lo minacciavano dicendo ‘abbiamo una scheda su di te, sei finito!’ I poliziotti gli hanno detto di non parlare o guardarsi intorno.
 
L’avrebbero portato in una zona dietro i pannelli del vicino Centro culturale Atatürk in piazza Taksim, dove non poteva essere visto dalla strada. L’avvocato ha riferito ad Amnesty International che i segni lasciati dalle manette di plastica erano visibili ancora tre giorni dopo. I poliziotti in borghese hanno preso la sua carta d’identità dalla tasca e controllato i suoi dati. Uno dei poliziotti ha gridato ‘il magnaccia ha fatto un master’. Dopo circa 20 minuti i poliziotti hanno tagliato le manette di plastica con un coltello da frutta, ma lo hanno tenuto lì per un’altra ora. Dopo che uno degli agenti gli aveva fatto una foto col cellulare, lo hanno portato sulla strada per un breve tratto verso Gümüssuyu prima di dirgli  di andare. Il suo avvocato ha raccontato ad Amnesty International che i poliziotti in borghese non gli hanno restituito la carta d’identità, dicendogli di segnalarne lo smarrimento.

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Aggressioni sessuali

Amnesty International ha ricevuto numerose segnalazioni di agenti di polizia maschi che hanno minacciato donne di aggressione sessuale mentre le arrestavano e le trattenevano, e due accuse di aggressione sessuale. Le vittime hanno sporto denuncia; una – quella di Eylem Karadağ – sembra essere stata accolta, anche se non da parte della polizia. Infatti, in entrambi i casi, la polizia ha  inizialmente rifiutato di registrare la denuncia o contestato la persona della denunciante. È molto probabile che gli episodi di molestie sessuali – sia fisiche che verbali – saranno  notevolmente sottovalutati.

Eylem Karadağ ha raccontato ad Amnesty International di essere stata arrestata, picchiata e aggredita sessualmente da agenti di polizia di sesso maschile dopo essere  stata fermata, vicino al luogo di una manifestazione nel quartiere di Dikmen ad Ankara il 26 giugno.

‘Ho incontrato un amico di 17 anni, D.K., vicino a un negozio di caffè in İlkadam Park. C’erano molti gas lacrimogeni nell’aria e stavamo cercando un posto per riposare, visto che venivamo da una manifestazione. Era circa l’1.30 del mattino. Otto poliziotti in borghese, che indossavano giubbotti di polizia, si avvicinarono a noi e ci afferrarono per le braccia. Ci portarono verso un veicolo blindato della polizia. Mi colpirono alla testa, colpirono D.K. alle spalle, non sono sicura con cosa ci colpirono. Per tutto il tempo imprecarono contro di noi. Ho sentito la mano di uno degli agenti di polizia sul mio petto, era ovvio che l’ha fatto di proposito, poi ho sentito una mano in basso, quindi sul mio organo sessuale. Mi misero   in un’auto blindata. Avevo paura di quello che avrebbero fatto a me nel veicolo. Un alto ufficiale è venuto e ha gridato al poliziotto ‘schiacciali’. Un poliziotto stava seduto su di me. Non ho detto niente. C’erano solo 10 minuti di auto da dove eravamo stati fermati alla stazione di polizia, ma ci hanno tenuti a bordo del veicolo blindato per un’ora. Sparavano lacrimogeni dal veicolo.

Dopo ci trasferirono su normali veicoli della polizia, D.K. su uno e io su di un altro. C’era un’altra donna fermata accanto a me. Aspettammo lì in autobus per mezz’ora ora. Poi ci portarono alla stazione di polizia [settore sicurezza della provincia di Ankara]. Quando arrivammo alla stazione di polizia, imprecavano ancora contro di noi, ci chiamavano  traditori, senza onore. Mi portarono a farmi visitare. Dissi al dottore che ero stata colpita, disse che non c’era nulla che potesse scrivere perché non vi era alcuna traccia. Non gli volli riferire dell’aggressione sessuale. Feci la mia dichiarazione alla polizia, dissi di essere stata colpita, dissi di aver subito aggressione sessuale.

Due giorni dopo presentai una separata denuncia penale. Consegnai la mia dichiarazione al procuratore. La polizia fece una dichiarazione pubblica su di me, dicendo che ero stata arrestata tre volte e che avevo fatto una denuncia di aggressione sessuale in ogni occasione. Sono stata effettivamente arrestata tre volte, ma non avevo mai fatto una denuncia di aggressione sessuale prima. Più tardi ricevetti due chiamate da parte del ministero della Famiglia e degli affari sociali, che mi offrì assistenza. Ho ricevuto una lettera dal ministero dell’Interno nella quale si riferiva che degli ispettori erano stati incaricati di esaminare il caso e che dovevo andare a far loro una dichiarazione il 19 agosto’.