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Negli ultimi quattro giorni le forze di sicurezza tunisine hanno usato metodi sempre più duri per disperdere le proteste ed eseguire arresti. Un manifestante è morto.
“Le autorità tunisine devono dare priorità all’incolumità dei manifestanti pacifici – ha ammonito in una nota ufficiale Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord – e assicurare che le forze di sicurezza ricorreranno alla forza solo quando assolutamente necessaria e in modo proporzionale alla minaccia, tutelando i diritti delle altre persone. Le proteste nascono in un contesto di reali difficoltà economiche e il ruolo delle forze di sicurezza dovrebbe essere quello di stemperare la tensione, non di esasperarla“.
Dall’8 gennaio in almeno 20 città si sono svolte manifestazioni contro l’aumento dei prezzi e delle tasse disposto dal governo. Il movimento giovanile “Fesh Nestannew?” (“Cosa stiamo aspettando?”) sta chiedendo al governo di rivedere queste misure.
L’8 gennaio le forze di sicurezza hanno manganellato un gruppo di attivisti che stavano manifestando pacificamente per chiedere il rilascio di alcuni loro compagni. Altri 15 attivisti sono stati arrestati per aver scritto slogan sui muri o per aver distribuito volantini che invitavano a prendere parte alle proteste. Molti di loro sono stati poi rilasciati dopo intensi interrogatori.
Resta in carcere invece Ahmed Sassi, professore di Filosofia arrestato a Tunisi il 10 gennaio e che oggi dovrebbe comparire di fronte a un giudice.
“Questi arresti paiono avere un intento intimidatorio. Le autorità tunisine stanno prendendo di mira persone che esercitano pacificamente il loro diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione“, ha sottolineato Morayef.
In alcuni casi le proteste hanno dato luogo a sporadiche violenze, tra cui saccheggi e atti di vandalismo.
“In casi del genere le forze di sicurezza devono intervenire, ma in modo proporzionale ai reati in corso. Le proteste nelle strade tunisine non devono essere considerate un via libera all’uso della forza eccessiva e illegale“, ha aggiunto Morayef.
La notte dell’8 gennaio Khomsi el-Yerfeni è morto durante una manifestazione a Tebourba, 30 chilometri a ovest di Tunisi. Testimoni oculari hanno riferito che l’uomo è stato investito due volte da un veicolo della polizia.
Secondo un comunicato del ministero dell’Interno, sarebbe morto soffocato dai gas lacrimogeni a causa di un problema respiratorio cronico. Questa circostanza medica è stata smentita dai familiari di el-Yerfeni, che hanno anche precisato che non esiste alcun certificato che attestasse la sofferenza respiratoria, come invece affermato nella nota del ministero dell’Interno.
I risultati dell’autopsia non sono stati ancora resi noti.
“Le autorità tunisine devono aprire immediatamente un’inchiesta approfondita e imparziale sulla morte di Khomsi el-Yerfeni, pubblicando i risultati dell’autopsia in piena trasparenza. Eventuali funzionari pubblici responsabili della sua morte dovranno essere portati in giudizio“, ha affermato Morayef.
Secondo gli standard internazionali, le forze di sicurezza possono ricorrere alla forza quando strettamente necessario e in un modo che sia proporzionale e tenda a ridurre al minimo danni e feriti.