© Greek Coast Guard/Handout/Anadolu Agency via Getty Images
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Alla vigilia dell’anniversario del naufragio del peschereccio “Adriana”, avvenuto il 14 giugno 2023 al largo della costa di Pylos, in Grecia, Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato i pochi progressi compiuti nelle indagini.
L’imbarcazione trasportava circa 750 persone, provenienti principalmente da Siria, Pakistan e Egitto. Solo 104 persone sono sopravvissute; 82 corpi sono stati ritrovati, di cui solo 58 identificati. Più di 500 persone risultano ancora disperse, ormai da un anno. Un’indagine avviata nel giugno 2023 dalla Corte navale greca per determinare l’eventuale responsabilità della Guardia costiera è ancora in fase preliminare.
Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch, ha dichiarato:
“È inaccettabile che, a un anno da questa orribile tragedia, l’indagine sulla potenziale responsabilità della Guardia costiera greca sia ancora in fase di stallo. È necessario avviare un processo credibile di accertamento delle responsabilità e porre fine al ciclo di violenza e impunità alle frontiere della Grecia”.
Adriana Tidona, ricercatrice sulle migrazioni di Amnesty International, ha aggiunto:
“Centinaia di famiglie sono state lasciate in un limbo, in attesa della verità sulla morte dei loro cari. Le autorità della Grecia devono procedere nelle indagini circa la probabile responsabilità della Guardia costiera in questo terribile incidente, al fine di giungere a una conclusione certa e dare giustizia a coloro che ne sono rimasti coinvolti”.
Il 13 giugno 2023, le autorità greche erano state allertate riguardo a un peschereccio sovraccarico, l’”Adriana”, nella loro area di ricerca e salvataggio; la nave era affondata 15 ore dopo. Ricerche condotte da Human Rights Watch, Amnesty International e altri hanno evidenziato gravi mancanze da parte delle autorità greche nelle ore precedenti il naufragio e sollevato serie accuse secondo cui una motovedetta della Guardia costiera greca avrebbe causato il ribaltamento del peschereccio durante un tentativo di traino.
Le organizzazioni non governative si sono unite al caso davanti alla Corte navale greca presentando una denuncia a nome di 53 persone sopravvissute, ritenendo che le autorità greche siano responsabili del naufragio. Le persone sopravvissute e le famiglie sono rimaste in un limbo, data la stima di più di 500 persone ancora disperse.
Il 21 maggio, il tribunale penale di Kalamata, capoluogo della regione greca di Messinia, ha archiviato un caso contro nove tra le persone sopravvissute accusate, fra le altre cose, di traffico di migranti e di aver causato il naufragio. Al momento del processo queste nove persone erano in carcere da 11 mesi. Amnesty International e Human Rights Watch avevano espresso preoccupazioni riguardo l’equità del processo, affermando che il caso si basava su prove incomplete e discutibili, dato che l’indagine sul ruolo della Guardia costiera non era ancora stata completata.
Amnesty International e Human Rights Watch hanno anche manifestato preoccupazioni sull’integrità delle prove raccolte nell’ambito delle indagini sul naufragio. La richiesta del procuratore della Corte navale per un’analisi forense dei telefoni degli ufficiali della Guardia costiera, sequestrati dalle autorità solo alla fine di settembre 2023, oltre due mesi dopo gli eventi, è ancora in sospeso.