Altri otto mesi al Qatar per porre fine allo sfruttamento dei lavoratori migranti

23 Marzo 2017

REUTERS/Stringer

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Il 21 marzo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ha concesso altri otto mesi al Qatar, paese organizzatore dei mondiali di calcio del 2022, per porre fine allo sfruttamento estremo dei lavoratori migranti impiegati nella costruzione degli stadi e delle altre infrastrutture necessarie per lo svolgimento della competizione.

In vista della riunione dell’Oil, la settimana scorsa il governo del Qatar aveva comunicato che l’ultimatum dato nel marzo 2016 era stato rispettato e che la legge di riforma 21 adottata nella seconda metà del 2015 aveva “annullato il sistema dello sponsor” (kafala) mentre una successiva legge, all’inizio di quest’anno, aveva “annullato il permesso di uscita“.

Questi annunci fanno parte di una strategia difensiva adottata dal governo del Qatar rispetto alle critiche internazionali.

Se è vero che le nuove norme contengono un’importante novità, ossia l’abolizione del divieto per il lavoratore migrante che ha lasciato il Qatar di rientrarvi per due anni senza il permesso del suo precedente datore di lavoro, per il resto è cambiato poco o nulla. L’assenza delle parole “sponsor” e “sponsorizzazione” non ha mutato la sostanza.

Infatti, il lavoratore ha ancora bisogno del permesso del suo datore di lavoro per cercare un impiego alternativo nel corso della durata del suo contratto, che di solito è di cinque anni. Se viola la norma, può essere considerato “clandestino” ed essere arrestato e poi espulso.

Il lavoratore migrante non può lasciare il paese senza darne “notifica” al datore di lavoro. In pratica, è sempre tenuto ad ottenere il consenso di quest’ultimo.

Infine, le nuove norme facilitano per il datore di lavoro il trattenimento del passaporto dei lavoratori migranti al suo servizio.