‘Quel giorno seppellimmo la nostra libertà’

10 Settembre 2013

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L’11 settembre 2013 saranno trascorsi 40 anni dal sanguinoso colpo di stato diretto dal generale Pinochet. Sotto il suo governo militare, le forze armate e di sicurezza cilene uccisero o fecero sparire oltre 3000 persone. Migliaia di persone furono costrette all’esilio. Approfondisci

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 Lelia Pérez aveva 16 anni quando venne arrestata per la prima volta dai servizi di sicurezza. Divenne la cavia dei soldati, che la usavano per esercitarsi alla tortura. Alla fine del 1976,  fu costretta a lasciare il Cile.

Julio Etchart, fotografo e l’ex giornalista esperto di America Latina Hugh O’Shaughnessy hanno rilasciato un’intervista in cui discutono del lavoro di Julio e dei diritti umani durante la dittatura di Pinochet.

Mario Irrázabal, professore d’Arte arrestato, detenuto e torturato a causa delle sue idee politiche e attività.

Victor Hormazabal, esponente del Partito Socialista e responsabile del sindacato lovale dei lavoratori ospedalieri, venne arrestato e torturato. Fuggì dalla camera della morte e della tortura grazie all’intervento dell’ambasciatore norvegese Frode Nilsen.

Roger Plant subito dopo il colpo di stato si recò in Cile per documentare gli arresti arbitrari, le torture e le sparizioni.

José Zalaquett, avvocato e attivista per i diritti umani cileno costretto ad andare in esilio.

Gloria Elgueta, sorella di Martin arrestato dalla polizia politica di Pinochet e portato nel famigerato centro di tortura di Londra 38

 

La scrittrice cilena Isabel Allende ricorda il colpo di stato militare dell’11 settembre 1973 e come quel giorno cambiò la sua vita e il suo paese per sempre.

Quali furono i primi segnali dell’imminente colpo di stato contro Salvador Allende?
Se ne parlava da un po’ di tempo, ma erano voci cui nessuno dava retta. Invece Salvador Allende era convinto che la minaccia fosse reale e che la Cia era dietro tutto questo. Il Cile aveva una così lunga e stabile tradizione militare che l’idea di un intervento militare era pressoché impensabile, così le paure di Allende sembravano esagerate. Di certo, nessuno pensava che Augusto Pinochet sarebbe diventato un traditore. La prima volta che sapemmo che era coinvolto nel colpo di stato fu proprio l’11 settembre.

Pablo Neruda era un simbolo dell’opposizione. Il suo funerale, il 23 settembre 1973, fu la prima protesta contro il colpo di stato. Cosa ricordi di quel giorno?

La sua morte, che meritava un giorno di lutto nazionale, fu ignorata dalla dittatura. La sua casa di Isla Negra era stata perquisita dai militari, che fecero irruzione anche in quella di Santiago. Quando si sparse la notizia del funerale, la gente arrivò per accompagnare i suoi resti al cimitero.

Sapevamo di rischiare. Il governo militare cercò di impedire che vi fosse alcuna manifestazione politica durante la cerimonia. Ma, a meno di non sparare a tutti, sarebbe stato impossibile evitare che le persone presenti non recitassero i versi più rivoluzionari di Neruda o non intonassero slogan e canzoni di protesta, come quelle di Victor Jara, che era stato torturato e ucciso allo Stadio Nazionale pochi giorni prima.

Camminammo per diversi isolati prima di raggiungere la tomba provvisoria di Neruda. Prima di morire, aveva espresso il desiderio di essere tumulato nella sua casa di Isla Negra, in direzione dell’Oceano Pacifico, il luogo che più aveva amato. All’inizio eravamo in pochi e avevamo paura dei soldati, ma più metri percorrevamo e più si univa gente, sempre di più, e ci sentivamo più forti. L’umore della folla era mutevole. Alcuni cantavano, altri gridavano il nome di Neruda, altri di Allende e Jara. Eravamo molto emozionati e spaventati allo stesso tempo. I soldati erano nervosi, non sapevano cosa fare. Vedevo le loro dita sul grilletto, le loro mascelle serrate. Era una bella giornata di primavera. Arrivammo al cimitero da ogni dove, piangendo, cantando, abbracciati gli uni agli altri.

Quel giorno non seppellimmo solo il poeta. Seppellimmo Allende, Jara e centinaia di altre vittime. Quel giorno seppellimmo la nostra democrazia. Quel giorno seppellimmo la nostra libertà.

Com’era l’atmosfera a Santiago dopo il colpo di stato?

Chi stava dalla parte della dittatura festeggiava la morte di Allende con lo champagne. Giustificavano tutto, compresa la tortura. Ci sarebbero voluti parecchi anni perché si rendessero conto della dimensione della brutalità e mettessero in discussione la dittatura. Ma alcuni stettero dalla parte di Pinochet fino al suo ultimo giorno.

Nel 1973-74 l’atmosfera tra le persone che conoscevo (studenti, giornalisti, intellettuali, artisti, operai…) era molto dimessa. Avevamo paura, eravamo quasi paralizzati dal terrore. La maggior parte della gente non voleva finire nei guai, preferiva tenere un basso profilo e portare avanti una vita tranquilla. Non c’erano vere e proprie informazioni, solo voci. Sentivamo dire di centri di tortura, campi di concentramento, omicidi, irruzioni nei quartieri poveri, di migliaia di persone arrestate e un numero ancora maggiore che aveva lasciato il paese, ma non c’era modo di avere conferma. Temevamo che i telefoni fossero controllati e che molte persone fossero diventate informatrici, così eravamo cauti nel parlare anche coi parenti meno stretti. Alcuni di noi diedero una mano alle persone che volevano fuggire, era impossibile rifiutare un aiuto a chi cercava un posto dove nascondersi. All’inizio non ci rendemmo conto delle conseguenze.

Per chi in quel periodo visitava il Cile da turista, quel terrore non si avvertiva. Il turista trovava una città pulita, quasi priva di criminalità; incontrava persone cordiali ed educate; tornava a casa convinto che il Cile fosse un paese molto organizzato.

Ti presero di mira per i tuoi legami di parentela?

Ero una giornalista e il mio nome era piuttosto noto. Ero una femminista, un’attivista di sinistra e una parente di Salvador Allende, tre buone ragioni per la dittatura militare per tenermi sotto sorveglianza. Venni fatta fuori da ogni lavoro ma fino all’inizio del 1975 non mi sentii davvero in pericolo. A Santiago provavo molta tristezza e iniziai a pensare con mio marito di trasferirci altrove. Non avevamo soldi, non conoscevamo nessuno all’estero e non avevamo idea di dove andare. Decidemmo di aspettare, sperando che prima o poi i militari sarebbero tornati nelle loro caserme e avremmo avuto di nuovo la democrazia.

Quale fu l’episodio che ti convinse ad andar via?
In una settimana successero diverse cose che mi fecero andare in panico. Scoprii che un mio nuovo amico era in realtà un infiltrato della temutissima polizia segreta. Un parente che lavorava per il governo ci rivelò che il mio nome era su una lista nera e che potevo essere arrestata da un momento all’altro. Una persona che avevo nascosto in casa nostra era stata arrestata e mi resi conto che, se avesse parlavo, per me sarebbe stata la fine. Dovevo andarmene immediatamente.
Avevo un passaporto valido. Lasciai il Cile alla luce del sole. Non era un fatto strano: migliaia di persone stavano andando via. Arrivai in Venezuela. Un mese dopo, quando era diventato evidente che ritornare in Cile sarebbe stato troppo rischioso, mio marito mi raggiunse coi nostri due figli. Vivemmo tutti insieme a Caracas per 13 anni.

Oltre 3000 persone furono uccise in Cile e molte altre sparirono. La gente sapeva di questo orrore?
Sono sicura che la maggior parte lo sapeva. Io lo sapevo e così tutti i miei amici. Tuttavia, molti riuscivano, o cercavano di riuscire, a ignorare la violenza e la corruzione della dittatura.
Nel 2003, in occasione del trentesimo anniversario, ero in Cile. A quel punto, tutte le informazioni sui massacri, le torture, le fosse comuni e tutto il resto erano state ampiamente pubblicate, c’erano tante iniziative pubbliche per ricordare le vittime. E c’era ancora chi negava tutto.
È molto difficile vivere nella paura. In caso di necessità, uno si adatta facilmente. Negare è un modo per proteggere se stessi. Si prova una sensazione di solitudine e impotenza. Il terrore è efficace nell’isolare le persone. Ogni nucleo familiare è a casa, ascolta la versione ufficiale dalla tv di stato, non c’è interazione, un dibattito pubblico, una discussione, uno scambio di idee che possa ispirare la ribellione.

Come riuscì Pinochet a restare al potere per 17 anni?
La paura è uno strumento molto potente e Pinochet lo usò con successo. Controllava i militari e i giudici, non c’erano un parlamento, la libertà di stampa, il diritto di habeas corpus, il diritto al dissenso. Impose un sistema economico che all’inizio sembrava avesse successo, sebbene favorisse i capitalisti tenendo la forza lavoro sotto un tallone di ferro. Il divario che ancora oggi esiste in Cile tra ricchi e poveri è vergognoso.
Col tempo, il sostegno per Pinochet diminuì e alla fine l’opposizione riuscì a sconfiggerlo al referendum. Ma ho sempre in mente le migliaia di persone che piansero al suo funerale.

Il procedimento penale nei confronti di Pinochet non arrivò mai a una conclusione. Quale spiegazione ti sei data?
Pinochet fu protetto dalla sua stessa amnistia, dal suo status di senatore a vita, dalle sue relazioni e, soprattutto, dalle forze armate. Penso che non volessero che Pinochet affrontasse un processo, fecero di tutto per poter rimandare le cose per dargli tempo di morire in pace, nel suo letto.

Com’era il tuo rapporto con Salvador Allende e cosa pensi delle sue idee e della sua azione politica?
Salvador Allende era cugino di mio padre. Dunque, ero sua nipote. Mio padre lasciò mia madre quando ero così piccola che non ho alcun ricordo di lui, mentre Salvador Allende rimase vicino a lei. Ricordo che facevamo dei pic-nic o andavamo alla spiaggia, ci incontravano ai compleanni e durante le feste.
Salvador Allende aveva il sogno di trasformare il Cile in un paese giusto e uguale. Aveva in mente riforme profonde, una rivoluzione pacifica e democratica. Era sempre in anticipo sui tempi. Negli anni Settanta il mondo era diviso dalla Guerra fredda e gli Usa erano determinati a non consentire ad alcun paese dell’America Latina di seguire la strada di Cuba.  La Cia intervenne dall’inizio per far cadere il governo di Allende. I partiti politici di destra erano disposti a distruggere il paese pur di togliere di mezzo il sogno socialista di Allende.

Le ferite del Cile si risaneranno mai?
Sì, il tempo cancella le ferite. Sono passati 40 anni dal colpo di stato militare. Presto Pinochet sarà solo un nome che metterà paura ai bambini nelle storie che racconti loro quando li metti a letto.