Jacob Burns/Amnesty International
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Il 17 e il 21 luglio soldati e agenti di polizia israeliani hanno effettuato due irruzioni nell’ospedale palestinese al-Makassed di Gerusalemme Est terrorizzando personale sanitario e degenti e a volte impedendo la fornitura di cure mediche urgenti a pazienti in condizioni critiche.
La tensione a Gerusalemme Est e in Cisgiordania è salita nuovamente dopo l’uccisione, il 14 luglio, di due agenti di polizia israeliani all’ingresso della moschea di al-Aqsa. Nei giorni successivi il sito è presidiato coi metal detector (poi rimossi) e i fedeli sono stati regolarmente perquisiti. Nelle proteste e negli scontri che sono seguiti, le forze israeliane hanno ucciso almeno quattro civili palestinesi e ne hanno feriti oltre 1.090: 29 con proiettili veri, 374 con quelli di gomma, 471 a seguito di pestaggi e 471 a seguito di lanci di gas lacrimogeni. Il 21 luglio tre civili israeliani sono stati accoltellati a morte da un aggressore palestinese nei pressi di un insediamento.
“L’operato intimidatorio e violento delle forze israeliane all’interno dell’ospedale al-Makassed è profondamente deplorevole. Non può esservi alcuna giustificazione per impedire ai medici di fornire cure mediche a persone ricoverate in condizioni critiche”, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
I testimoni hanno raccontato scene di caos totale. Questo è il racconto del primario dell’ospedale al-Makassed, Rafiq Husseini di cosa è accaduto la sera del 17 luglio, quando tra 20 e 30 uomini armati vi hanno fatto irruzione:
“Si sono comportati nei confronti del mio personale e dei degenti in modo molto aggressivo. Sono entrati nell’ospedale, senza alcuna base legale, con mitragliatrici e granate stordenti”.
Da quando sono iniziati gli scontri l’ospedale ha ricoverato numerose persone ferite da pallottole di gomma, vittime di pestaggi o sofferenti per aver inalato gas lacrimogeni.
Bassam Abu Libdeh, direttore sanitario dell’ospedale, ha assistito al tentativo di cattura di un palestinese di Silwan, 19 anni, ricoverato per un colpo di proiettile alla coscia che gli aveva lesionato un’arteria:
“Si aggiravano per l’ospedale come cani affamati che inseguivano la preda. Avevano mitragliatrici e granate stordenti, spingevano e spintonavano. Hanno trovato il ragazzo ferito, che era stato appena portato in sala operatoria. Alcuni di noi hanno cercato di fermarli. Allora hanno iniziato a girare per tutto l’ospedale minacciando chiunque capitasse a tiro: pazienti, medici, infermieri… In ospedale sono ricoverati bambini e anziani. Tutto questo non è accettabile. Perché volevano portare via quel ragazzo? Perdeva sangue e stava rischiando di morire, dove pensavano che potesse scappare?”
Talal al-Sayed lavora all’ospedale al-Makassed da un decennio. Ha raccontato che nel corso degli anni il personale si era abituato ai raid delle forze israeliane ma che l’irruzione del 21 luglio è stata “una roba mai vista in precedenza”.
Nel secondo raid, 200 militari armati hanno circondato l’ospedale e poi hanno fatto irruzione, impiegando gas lacrimogeni, alla ricerca di un palestinese gravemente ferito al petto. Sono entrati nella sala operatoria e hanno picchiato un medico. Nel frattempo l’uomo, Mohammad Abu Ghannam, è morto.
“Hanno invaso l’intera struttura, compresa l’unità neonatale. Che dovevano farci lì? È stato semplicemente terrore puro verso tutti i pazienti”.
Un’infermiera ha raccontato di non aver mai avuto così tanta paura nella sua vita:
“Ricordo unicamente grida, spintoni, urla. Era il caos più totale. C’era sangue ovunque, sul pavimento e sulle pareti”.
Tra i ricoverati all’ospedale al-Makassed c’è anche Ekrima Said Sabri, imam della moschea di al-Aqsa ed ex muftì di Gerusalemme. Ha raccontato che il 18 luglio la polizia di frontiera israeliane ha attaccato una protesta pacifica nei pressi della Porta del leone, picchiando i manifestanti con i manganelli e calpestandoli.