Rapimento Abu Omar, condannati in appello tre ex funzionari della Cia

6 Febbraio 2013

Tempo di lettura stimato: 5'

Il 1° febbraio 2013, la corte d’appello di Milano ha condannato tre ex funzionari statunitensi della Central intelligence agency (Cia) per il sequestro illegale di Usama Mostafa Hassan Nasr (noto come Abu Omar), avvenuto nel febbraio 2003. L’uomo venne trasferito in Egitto, trattenuto in detenzione segreta per oltre un anno e, secondo quanto da lui denunciato, sottoposto a torture.

Jeff Castelli, ex ‘capostazione’ della Cia a Roma, e altri due funzionari dell’intelligence Usa, sono stati giudicati colpevoli di ‘rapimento’, ai sensi della legge italiana, e condannati rispettivamente a sette anni il primo e a sei anni gli altri due.

La corte d’appello ha ribaltato la sentenza di primo grado, giudicando che i tre imputati non avessero diritto all’immunità. La condanna è stata emessa in contumacia, giacché i tre cittadini statunitensi non sono mai comparsi in tribunale.

In totale, 26 cittadini statunitensi e tre italiani sono stati condannati per aver preso parte al rapimento di Abu Omar. Altri cinque funzionari dell’intelligence italiana dovranno comparire nuovamente a processo nel 2013, dopo che la Corte di cassazione il 19 settembre 2012 aveva stabilito che l’estesa invocazione del segreto di stato da parte del governo dovesse essere riesaminata e non essere usata per evitare di dover rispondere di violazioni dei diritti umani. In quell’occasione, la Cassazione aveva confermato le condanne di 22 funzionari della Cia, di un militare statunitense e di due agenti dell’intelligence italiana e ordinato un nuovo processi per altri cinque funzionari dei servizi segreti italiani.

Il governo statunitense non ha fornito collaborazione nel caso Abu Omar e ha rifiutato di rispondere alle richieste d’informazioni da parte dei procuratori di Milano. Anche il governo italiano non è stato collaborativo, non solo opponendo il segreto di stato in una maniera che ha interferito con le indagini e col processo, ma anche rifiutando di inoltrare le richieste di estradizione agli Usa.

Quando, dopo la sentenza della Corte di cassazione del settembre 2012, le condanne dei 23 cittadini statunitensi sono diventate definitive, la ministra della Giustizia Paola Severino ha rifiutato di inoltrare tutte le richieste di estradizione, salvo una, poiché le pene risultavano al di sotto del minimo necessario per procedere alla domanda, grazie a un provvedimento d’indulto varato dal parlamento italiano nel 2006. Ne beneficeranno, con ogni probabilità, anche i tre condannati nel processo del 1° febbraio.

Peraltro, sulla base del diritto internazionale, l’Italia è obbligata a rimuovere tali impedimenti e a procedere con la domanda d’estradizione.

Amnesty International ha espresso apprezzamento per il continuo sforzo dei procuratori italiani di portare avanti le indagini e i processi sul caso Abu Omar, nonostante gli ostacoli posti dal governo statunitense e da quello italiano.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani, il governo italiano dovrebbe promuovere urgentemente un’inchiesta indipendente, approfondita, imparziale ed efficace su ogni aspetto del coinvolgimento dell’Italia in operazioni della Cia. Un rapporto approvato nel settembre 2012 dal Parlamento europeo chiede a tutti gli stati dell’Unione europea di farlo, poiché sulla base del diritto internazionale essi hanno l’obbligo di svolgere inchieste efficaci sulle denunce di tortura e maltrattamenti.

Amnesty International si è detta estremamente preoccupata per l’assenza di iniziative, da parte degli Usa, atte a chiamare a rispondere i responsabili e a fornire un rimedio alle vittime dei programmi di rendition e di detenzioni segrete. Agendo in questo modo, gli Usa continuano a violare in modo grave i loro obblighi internazionali.

(20 settembre 2012) Sentenza della Cassazione sulla ‘rendition’ di Abu Omar, per Amnesty International ‘ un passo avanti verso la fine dell’impunità’