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REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN

All’indomani della rivolta “Donna Vita Libertà”, le autorità hanno ulteriormente soffocato i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica, e intensificato la loro repressione sulle donne e le ragazze che sfidavano le disposizioni legislative sull’obbligo di indossare il velo. Le forze di sicurezza hanno schiacciato le proteste ricorrendo all’uso illegale della forza e ad arresti di massa. Migliaia di persone sono state sottoposte a interrogatori, detenzioni arbitrarie, procedimenti giudiziari ingiusti e carcerazioni per avere esercitato pacificamente i loro diritti umani. Sparizioni forzate, tortura e altro maltrattamento sono rimaste pratiche diffuse e sistematiche. Le donne e le ragazze, le persone Lgbti e le minoranze etniche e religiose hanno subìto forme sistematiche di discriminazione e violenza. Sono state imposte ed eseguite pene crudeli e disumane, comprese fustigazioni. La pena di morte è stata sempre più utilizzata come strumento di repressione politica e sono aumentate le esecuzioni. I processi sono rimasti sistematicamente iniqui. Ha continuato a prevalere un clima di impunità strutturale per i crimini contro l’umanità del presente e del passato, come per i massacri nelle carceri risalenti al 1988 e altri crimini secondo il diritto internazionale.

 

CONTESTO

A marzo, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha rinnovato il mandato del Relatore speciale sull’Iran. Nel suo rapporto di febbraio, il Relatore aveva evidenziato la “possibile commissione di crimini di diritto internazionale, e in particolare di crimini contro l’umanità come omicidio, carcerazione, sparizioni forzate, tortura, stupro e violenza sessuale e persecuzione” durante la rivolta “Donna Vita Libertà” del 2022.

Le autorità hanno rifiutato l’ingresso nel paese alla Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti in Iran delle Nazioni Unite, così come ad altri esperti indipendenti delle Nazioni Unite e osservatori internazionali sui diritti umani.

A novembre, nelle sue osservazioni conclusive sul quarto rapporto periodico dell’Iran, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha sollecitato le autorità a emendare o abrogare le norme sull’obbligo di indossare il velo e a sciogliere la polizia morale. Ha inoltre espresso preoccupazione per l’impunità che caratterizzava l’abituale ricorso alla forza letale durante proteste in larga parte pacifiche e ha esortato le autorità a istituire indagini imparziali e indipendenti sulle uccisioni, la tortura e altre violazioni dei diritti umani durante le successive proteste. Ha chiesto anche di garantire che i perpetratori siano assicurati alla giustizia e che le vittime ottengano riparazione.

A maggio, Olivier Vandecasteele, un cittadino belga incarcerato ingiustamente, è stato rilasciato e ha potuto lasciare l’Iran in base a un accordo bilaterale siglato tra Iran e Belgio, che aveva permesso il rilascio anticipato e il rientro in Iran di un agente dei servizi d’intelligence iraniani, Assadollah Asadi, il quale stava scontando una condanna a 20 anni di carcere in Belgio per un fallito attentato dinamitardo contro dissidenti iraniani in Francia. L’accordo ha contribuito a perpetuare il clima di impunità che caratterizzava la presa di ostaggi e altri crimini di diritto internazionale da parte delle autorità iraniane (cfr. Belgio)1.

L’Iran ha continuato a fornire sostegno militare alle forze governative nel conflitto armato in Siria (cfr. Siria).

L’Iran ha continuato a fornire droni alla Russia, che sono stati utilizzati per colpire e distruggere infrastrutture civili in Ucraina, e ha trasferito le competenze tecnologiche e produttive per permettere alla Russia di fabbricare gli stessi droni.

L’Iran ha smentito di avere avuto un ruolo nell’attacco contro Israele compiuto il 7 ottobre da Hamas e altri gruppi armati palestinesi o di avere saputo in anticipo che era in preparazione.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, ASSOCIAZIONE E RIUNIONE

Le autorità hanno censurato media, disturbato con interferenze canali televisivi satellitari e continuato a bloccare e/o filtrare applicazioni di telefonia mobile e piattaforme di social media, come Facebook, Google Play, Instagram, Signal, Telegram, WhatsApp, X (ex Twitter) e YouTube.

Il disegno di legge sulla protezione degli utenti di Internet, che avrebbe violato il diritto alla privacy ed eroso ulteriormente le libertà online e l’accesso a Internet, era ancora in attesa di approvazione da parte del parlamento.

Internet e le reti di telefonia mobile hanno subìto interruzioni del servizio durante e prima delle proteste previste.

Le autorità hanno fatto ricorso a tattiche repressive per impedire lo svolgimento di proteste di massa a livello nazionale, mentre le forze di sicurezza hanno represso proteste locali di dimensioni più ridotte utilizzando forza illegale ed effettuando arresti di massa.

A maggio, le forze di sicurezza hanno fatto ricorso all’uso illegale della forza contro gli abitanti del villaggio di Gojag, nella provincia di Hormozgan, che protestavano contro la demolizione di una casa, provocando dei ferimenti.

Durante e prima dell’anniversario della rivolta “Donna Vita Libertà”, a settembre, le autorità hanno represso proteste e commemorazioni, anche arrestando arbitrariamente i parenti delle vittime e costringendo migliaia di studenti universitari a impegnarsi per iscritto a non aderire alle proteste2.

Gli attacchi contro le proteste che si svolgevano con cadenza settimanale il venerdì nella città di Zahedan, nella provincia del Sistan e Balucistan, hanno raggiunto il picco il 20 ottobre, quando le forze di sicurezza hanno utilizzato illegalmente gas lacrimogeni, fucili caricati a pallettoni e cannoni ad acqua contro migliaia di manifestanti e fedeli, compresi minorenni, ed eseguito arresti arbitrari di massa3.

Migliaia di persone, anche minorenni, sono state sottoposte a interrogatori coercitivi, detenzione arbitraria, procedimenti giudiziari ingiusti e sospensione o espulsione dagli istituti d’istruzione o dal lavoro per avere esercitato pacificamente i loro diritti umani. Tra le vittime c’erano manifestanti, donne che avevano rimosso in pubblico l’hijab obbligatorio, giornalisti, attori e musicisti, scrittori e accademici, studenti universitari, persone Lgbti e difensori dei diritti umani, comprese persone impegnate per i diritti delle donne e in campagne contro la pena di morte, avvocati e famiglie in cerca di verità e giustizia per le vittime di uccisioni illegali.

Le autorità hanno mantenuto il divieto totale contro i partiti politici indipendenti, le organizzazioni della società civile e i sindacati e sottoposto a rappresaglie i lavoratori e gli attivisti per i diritti dei lavoratori che scioperavano e partecipavano a raduni pacifici, anche in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori.

 

DETENZIONE ARBITRARIA E PROCESSI INIQUI

I processi erano sistematicamente iniqui e pertanto la detenzione di migliaia di persone era da ritenersi arbitraria. Le sistematiche violazioni delle procedure dovute comprendevano diniego del diritto dell’indagato di accedere a un avvocato a partire dal momento dell’arresto, l’ammissione agli atti processuali di “confessioni” ottenute sotto tortura e processi sommari, che determinavano pene carcerarie, fustigazioni e condanne a morte.

La magistratura ha svolto un ruolo centrale nel consolidare l’impunità per i casi di tortura, sparizione forzata e altre violazioni dei diritti umani, data la sua mancanza di indipendenza e con i vertici del suo apparato che dovevano essere a loro volta indagati per crimini di diritto internazionale.

Le autorità hanno cercato di indebolire ulteriormente l’indipendenza dell’ordine degli avvocati iraniani attraverso modifiche legislative e altre misure repressive.

È prevalsa l’impunità per la continua pratica delle autorità di detenere arbitrariamente cittadini stranieri o con la doppia cittadinanza come leva di scambio e, in alcuni casi, questa era equiparabile al crimine di presa di ostaggi.

La detenzione arbitraria agli arresti domiciliari dei dissidenti Mehdi Karroubi, Mir Hossein Mousavi e Zahra Rahnavard è entrata nel suo 13° anno.

 

SPARIZIONI FORZATE, TORTURA E ALTRO MALTRATTAMENTO

Le autorità hanno regolarmente sottoposto i detenuti a sparizione forzata e detenzione in incommunicado, trattenendoli frequentemente in strutture controllate dal ministero dell’Intelligence, dai Guardiani della rivoluzione e vari reparti della polizia iraniana4.

Tortura e altri maltrattamenti sono stati impiegati in modo diffuso e sistematico, incluse percosse, fustigazioni, scosse elettriche, esecuzioni simulate, diniego di cibo e acqua e prolungati periodi in regime di isolamento. Le “confessioni” forzate ottenute sotto tortura sono state trasmesse sulla televisione di stato.

I prigionieri erano sottoposti a condizioni di detenzione crudeli e disumane, caratterizzate tra l’altro da estremo sovraffollamento, assenza di igiene, scarsa ventilazione, infestazioni di topi o insetti, letti inadeguati o insufficienti, carenza di servizi igienici, lavabi e docce.

Le direzioni delle carceri e le procure spesso negavano deliberatamente ai prigionieri cure mediche adeguate, anche per le lesioni dovute alle torture. I casi di morti sospette avvenute in custodia, in un contesto caratterizzato da resoconti credibili che indicavano il ricorso a tortura e altro maltrattamento, comprese percosse e diniego di cure mediche, non sono mai stati indagati né puniti. Tra coloro che sono deceduti in circostanze sospette c’erano Ebrahim Rigi e Javad Rouhi, i quali erano stati arrestati in relazione alla rivolta del 2022.

Il codice penale iraniano ha continuato a prevedere punizioni corporali che costituivano tortura e altro maltrattamento, tra cui fustigazione, accecamento, amputazione, crocifissione e lapidazione.

I tribunali hanno emesso almeno 188 condanne alla fustigazione, di cui almeno nove sono state eseguite; sono state inoltre eseguite due condanne all’amputazione e una all’accecamento, quest’ultima su disposizione della Corte suprema, secondo quanto riportato dal Centro per i diritti umani in Iran Abdorrahman Boroumand.

 

DISCRIMINAZIONE E VIOLENZA CONTRO DONNE E RAGAZZE

Le autorità hanno continuato a trattare le donne come cittadine di seconda classe, anche in relazione a questioni come matrimonio, divorzio, custodia dei figli, impiego, eredità e cariche politiche.

L’età legale del matrimonio per le ragazze è rimasta 13 anni e i padri potevano ottenere il permesso dai tribunali affinché le figlie si sposassero ancora prima.

Le autorità hanno intensificato la loro repressione su tutto il territorio nazionale contro le donne e le ragazze che sfidavano l’obbligo di indossare il velo, predisponendo nuove politiche che violavano gravemente i loro diritti sociali, economici, culturali e politici e limitavano la loro libertà di movimento5. Le misure punitive comprendevano: l’invio a più di un milione di donne di sms di avvertimento che minacciavano la confisca dei loro veicoli; bloccare le loro auto; privare le donne dell’accesso all’impiego, all’istruzione, all’assistenza medica, ai servizi bancari e/o al trasporto pubblico; deferirle alla magistratura, che imponeva nei loro confronti pene carcerarie, ammende e punizioni degradanti, come ad esempio lavare i cadaveri. Secondo quanto si è appreso da comunicati ufficiali, oltre 1.800 imprese sono state costrette alla chiusura per non avere fatto rispettare alle loro dipendenti l’obbligo di indossare il velo.

Sono riprese le operazioni della polizia “morale” accompagnate da intensificate forme di vessazione e violenza contro donne e ragazze in pubblico.

A dicembre, il Consiglio di opportunità è intervenuto per approvare il draconiano disegno di legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura della castità e dell’hijab, rinviandolo per l’approvazione finale al Consiglio dei guardiani, che ha rimandato il testo legislativo al parlamento per ulteriori emendamenti. La bozza del documento prevedeva pene fino a 10 anni di carcere per chiunque sfidasse l’obbligo di indossare il velo e criminalizzava gli attori non statali, come le imprese, che si fossero rifiutati di applicare tale obbligo.

Il 28 ottobre, la sedicenne Armita Garawand è morta dopo 28 giorni di coma dopo essere stata, stando alle notizie, aggredita da qualcuno che voleva farle rispettare le norme sull’obbligo di indossare il velo. Le autorità hanno arrestato una giornalista che indagava sulla vicenda, messo in circolazione filmati di propaganda in cui si autoassolvevano da ogni responsabilità e sottoposto coloro che partecipavano alle commemorazioni a detenzione arbitraria, percosse e/o altre forme di vessazione.

Tra gennaio e aprile, migliaia di studentesse sono state intossicate e ospedalizzate in seguito ad attacchi con gas chimici che hanno colpito deliberatamente le scuole femminili sul territorio nazionale, in quella che è parsa essere una campagna coordinata volta a punire le studentesse per essersi tolte l’hijab obbligatorio durante la rivolta del 2022. Le autorità hanno sottoposto genitori, studentesse, insegnanti, giornalisti e altre persone a forme di violenza, intimidazione e ad arresti arbitrari per avere criticato l’incapacità delle autorità di fermare gli attacchi e di cercare la verità e accertare le responsabilità.

Ad aprile, il parlamento ha approvato i princìpi generali del disegno di legge per prevenire la vulnerabilità delle donne e migliorare la loro sicurezza di fronte agli abusi. Alcune delle sue disposizioni sono state rinviate alle competenti commissioni parlamentari per essere ulteriormente esaminate. Il disegno di legge era stato presentato oltre un decennio fa per affrontare la violenza contro le donne, ma il testo era stato affossato per eliminare ogni citazione del termine “violenza”. Il documento non era riuscito a definire la violenza domestica come un reato distinto, a criminalizzare lo stupro maritale e il matrimonio precoce o a garantire pene proporzionate alla gravità dei crimini commessi per gli uomini che uccidono mogli o figlie.

Le autorità non hanno fornito alle donne in carcere un’assistenza medica adeguata che tenesse conto del genere.

 

DISCRIMINAZIONE

Minoranze etniche

Le minoranze etniche, tra cui arabi ahwazi, turchi azeri, baluci, curdi e turkmeni, hanno subìto una discriminazione diffusa, che ha limitato il loro accesso all’istruzione, al lavoro, a un alloggio adeguato e agli incarichi politici. Le regioni popolate da minoranze, esasperate da povertà e marginalizzazione, continuavano a ricevere scarsi investimenti.

Nonostante i ripetuti appelli alla diversità linguistica, il persiano è rimasto l’unica lingua d’insegnamento nell’istruzione primaria e secondaria.

Le forze di sicurezza hanno ucciso illegalmente nell’impunità decine di corrieri transfrontalieri curdi disarmati (kulbar), tra le regioni del Kurdistan iraniano e iracheno, e portatori di carburante baluci (soukhtbar), nella provincia del Sistan e Balucistan.

Minoranze religiose

Le minoranze religiose, tra cui baha’i, cristiani, dervisci di Gonabadi, ebrei, adepti del culto di Yaresan e musulmani sunniti, hanno subìto discriminazioni nella legge e nella prassi, anche nell’accesso all’istruzione, al lavoro, all’adozione dei figli, agli incarichi politici e ai luoghi di culto. Centinaia di queste persone sono state arbitrariamente detenute, perseguite ingiustamente, torturate o altrimenti maltrattate per avere professato o praticato la loro fede.

Persone nate da genitori classificati come musulmani dalle autorità sono rimaste a rischio di detenzione arbitraria, tortura o pena di morte per “apostasia” se adottavano altre religioni o si professavano atei.

I membri della minoranza baha’i hanno subìto violazioni diffuse e sistematiche, come l’esclusione dall’istruzione superiore e la chiusura forzata delle loro attività commerciali o la confisca delle loro proprietà, oltre che detenzioni arbitrarie di massa. Le autorità hanno inoltre impedito le sepolture baha’i in un cimitero che usavano da decenni a Teheran e hanno seppellito d’imperio diversi baha’i deceduti presso l’adiacente fossa comune di Khavaran, che si ritiene contenga i resti delle vittime dei massacri nelle carceri del 1988, senza informare prima le loro famiglie e in violazione dei riti funerari praticati dai baha’i.

Le autorità hanno fatto irruzione nelle chiese e sottoposto i musulmani convertiti al cristianesimo ad arresti arbitrari e punizioni come carcerazioni ed “esilio” interno.

Persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

Le persone Lgbti hanno subìto sistemiche discriminazioni e violenze. Le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso rimanevano un reato punibile con sanzioni che andavano dalla fustigazione alla pena di morte.

Le cosiddette “terapie di conversione”, avallate dallo stato, equivalenti a tortura o altro maltrattamento, continuavano a essere diffuse e praticate anche su minorenni. La terapia ormonale e le pratiche chirurgiche, come la sterilizzazione, erano obbligatorie per il riconoscimento legale del genere.

Le persone di genere non conforme rischiavano di essere criminalizzate ed escluse dall’istruzione e dal lavoro.

 

DIRITTI DELLE PERSONE RIFUGIATE E MIGRANTI

I circa cinque milioni di afgani che vivono stabilmente in Iran hanno affrontato una discriminazione diffusa, che rendeva tra l’altro per loro complicato accedere a istruzione, alloggio, lavoro, assistenza sanitaria, servizi bancari ed esercitare il diritto alla libertà di movimento.

I media statali e alcuni funzionari pubblici si sono scagliati contro i richiedenti asilo afgani, alimentando i discorsi d’odio e istigando a compiere crimini d’odio contro persone di nazionalità afgana presenti in Iran.

A novembre, le autorità hanno annunciato che il rimpatrio dei migranti afgani “illegali” era cominciato ad agosto e che, da allora, quelli rientrati in Afghanistan “su base volontaria” erano stati 450.000.

 

PENA DI MORTE

Sono aumentate le esecuzioni rispetto all’anno precedente ed è quasi raddoppiato il numero di quelle riguardanti reati in materia di droga.

La pena di morte è stata comminata al termine di processi gravemente iniqui, anche per reati che non raggiungevano la soglia dei “reati più gravi”, che implicavano un omicidio intenzionale, come traffico di droga, corruzione finanziaria, vandalismo e reati formulati in modo oltremodo vago come “inimicizia contro Dio” (moharebeh) e “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz).

La pena di morte continuava a essere prevista anche per atti tutelati dai diritti alla privacy e alla libertà d’espressione, religione o culto, come ad esempio “avere insultato il profeta Maometto”, bere alcolici, avere relazioni sessuali consensuali tra persone adulte dello stesso sesso o al di fuori del matrimonio. L’adulterio è rimasto punibile con la lapidazione.

Le autorità hanno utilizzato la pena capitale come uno strumento di repressione politica contro manifestanti, dissidenti e membri di minoranze etniche6.

Due uomini sono stati messi a morte per “apostasia”, unicamente per il pacifico esercizio del loro diritto alla libertà di religione attraverso attività sui social media.

Sei giovani sono stati messi arbitrariamente a morte in relazione alla rivolta del 2022, al termine di processi farsa basati su “confessioni” forzate ottenute sotto tortura.

Un numero sproporzionato di esecuzioni ha colpito membri dell’oppressa minoranza baluci7.

Diverse persone sono state messe a morte per reati che risalivano a quando avevano meno di 18 anni e, tra queste, Hamidreza Azari, che al momento della sua esecuzione aveva 17 anni. Decine di altre rimanevano nel braccio della morte.

 

IMPUNITÀ

A maggio, il presidente ha annunciato la formazione di un comitato speciale per esaminare i disordini del 2022, sollevando preoccupazioni per l’imparzialità e l’indipendenza dei suoi membri. Il comitato non ha condotto indagini in linea con gli standard internazionali o reso pubblici i suoi risultati.

Nessun funzionario pubblico è stato chiamato a rispondere per le uccisioni illegali, torture, sparizioni forzate e altri crimini di diritto internazionale o gravi violazioni dei diritti umani compiute nel 2023 o negli anni precedenti.

Le autorità hanno continuato a insabbiare i casi di tortura e altro maltrattamento, anche di stupro e altre forme di violenza sessuale, perpetrati da funzionari statali contro i manifestanti detenuti durante la rivolta del 2022, e hanno fatto pressione sulle vittime affinché ritirassero le loro denunce per non incorrere in rappresaglie. Hanno inoltre sottoposto le famiglie delle vittime uccise illegalmente durante la rivolta a vessazioni e intimidazioni, detenzioni arbitrarie, divieti di presenziare a cerimonie di commemorazione, e distruzione dei siti di sepoltura dei loro cari. Hanno continuato a negare ogni responsabilità per la morte in custodia di Jina/Mahsa Amini nel 2022 e molestato la sua famiglia.

Le autorità hanno continuato a nascondere la verità riguardante l’abbattimento del volo 752 della Ukraine International Airlines, colpito da un missile a gennaio 2020, episodio in cui hanno perso la vita 176 persone. Ad aprile, in seguito a un processo celebrato in un clima di segretezza, un tribunale ha condannato un comandante a 13 anni di carcere e altri nove imputati a pene comprese tra uno e tre anni di reclusione. Ad agosto, il fascicolo è stato trasmesso alla Corte suprema per essere esaminato in sede d’appello.

È prevalsa ancora l’impunità per i crimini contro l’umanità riguardanti le esecuzioni extragiudiziali e le sparizioni forzate di diverse migliaia di dissidenti politici nel 1998, con molti degli indiziati che ricoprivano posizioni di alto livello istituzionale, compreso il presidente.

 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

Esperti ambientali hanno criticato l’incapacità delle autorità di affrontare la crisi ambientale dell’Iran, segnata dall’inaridimento di laghi, fiumi e terre umide; deforestazione; inquinamento dell’aria; contaminazione dell’acqua causata dallo scarico di acque reflue nelle falde idriche urbane; e subsidenza del terreno.

L’Iran ha mantenuto la produzione di combustibili fossili e derivati ai massimi livelli.

 

 

Note:
1 Iran: They are Shooting Brazenly: Iran’s Militarized Response to May 2022 Protests, 3 agosto.
2 Iran: One year after uprising international community must combat impunity for brutal crackdown, 13 settembre.
3 Iran: New wave of brutal attacks against Baluchi protesters and worshippers, 26 ottobre.
4 Iran: Further information: Activist forcibly disappeared for over a year: Ebrahim Babaei, 14 marzo.
5 Iran: International community must stand with women and girls suffering intensifying oppression, 26 luglio.
6 Iran: Executions of tortured protesters must trigger a robust reaction from the international community, 19 maggio.
7 Iran: Chilling execution spree with escalating use of death penalty against persecuted ethnic minorities, 2 marzo.

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