La crisi dei diritti umani in Myanmar è peggiorata, poiché le autorità militari hanno continuato la repressione dell’opposizione pacifica e hanno intensificato le operazioni contro la crescente resistenza armata. Sono proseguiti i processi iniqui contro attivisti pro-democrazia e altri considerati oppositori delle autorità militari e oltre 1.600 persone sono state condannate al carcere, ai lavori forzati o alla morte. Oltre mezzo milione di persone sono state sfollate a causa dei conflitti armati interni. Decine di migliaia di persone di etnia rohingya sfollate con la forza più di dieci anni fa sono rimaste in squallidi campi profughi nello stato di Rakhine. Le autorità militari hanno impedito che esse fossero raggiunte dagli aiuti umanitari dopo un devastante ciclone a maggio. Numerosi paesi hanno imposto sanzioni a società e persone responsabili della fornitura di carburante per l’aviazione all’esercito del Myanmar, utilizzato per effettuare attacchi aerei anche contro civili, case, luoghi di culto e altre infrastrutture civili. I diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica sono rimasti gravemente limitati e i giornalisti sono stati tra le persone incarcerate per il loro legittimo lavoro.
Dopo la destituzione del governo democraticamente eletto, il 1° febbraio 2021, è proseguito il dominio militare. Myint Swe è rimasto il presidente nominato dai militari, mentre il generale dell’esercito e leader del golpe, Min Aung Hlaing, ha seguitato a guidare il Consiglio di amministrazione dello stato. Le autorità militari hanno continuato la campagna per eliminare tutta l’opposizione e gli sforzi internazionali per fermare la violenza e impedire gravi violazioni dei diritti umani contro i civili si sono rivelati inefficaci.
Il Consiglio di amministrazione dello stato ha prorogato per due volte di sei mesi lo stato d’emergenza ed è venuto meno al proprio impegno di tenere elezioni multipartitiche nel 2023. Il governo di unità nazionale, formato nel 2021 dai rappresentanti estromessi del deposto governo guidato dalla Lega nazionale per la democrazia, e gruppi armati noti collettivamente come Forze di difesa popolare hanno continuato a opporsi al governo militare. I combattimenti si sono intensificati nel Myanmar centrale e, a ottobre, un’alleanza di tre gruppi armati non statali, l’Alleanza delle tre fratellanze, ha lanciato un’offensiva su larga scala chiamata Operazione 1027, sequestrando basi militari, posti di blocco e valichi di frontiera nel Myanmar nordorientale. L’Alleanza ha preso di mira anche i luoghi in cui le vittime della tratta di esseri umani erano costrette a lavorare in truffe informatiche.
Dal colpo di stato più di 4.000 persone, per lo più civili, sono state uccise dai militari nel tentativo di affermare il controllo, di queste almeno 1.345 nel 2023. Le uccisioni illegali sono avvenute soprattutto nel contesto di attacchi militari aerei e terrestri che costituivano atti di punizione collettiva contro le popolazioni civili e anche in seguito alla cattura di oppositori, armati o pacifici, al golpe. Sono pervenute anche segnalazioni di oltre 30 decessi in custodia, di cui alcuni sono stati la conseguenza di tortura e altro maltrattamento. I militari hanno intensificato gli attacchi aerei, che spesso sono stati indiscriminati o hanno preso di mira direttamente civili e beni civili.
Gli attacchi aerei, che in precedenza avvenivano principalmente nelle zone di confine, si sono intensificati nel cuore del Myanmar. La regione di Sagaing, situata nel Myanmar centrale e nordoccidentale, è stata sempre più presa di mira con conseguenze devastanti. L’11 aprile, nell’attacco aereo più letale dal colpo di stato, l’aviazione ha sganciato bombe su un’adunanza di persone che partecipavano all’inaugurazione di un nuovo ufficio amministrativo locale, nel villaggio di Pa Zyi Gyi, della municipalità di Kanbulu. Sono stati uccisi almeno 100 civili, di cui 35 minori, e 18 persone schierate con gruppi armati di opposizione. L’esercito ha ammesso l’attacco ma ha sostenuto che l’elevato numero di vittime era dovuto agli esplosivi immagazzinati nel luogo dell’incontro. Il 27 giugno, un’incursione aerea vicino a un monastero nel villaggio di Nyaung Kone, nella municipalità di Pale della regione di Sagaing, avrebbe ucciso un monaco e almeno altri nove civili. Secondo la stampa, incursioni o attacchi aerei che hanno provocato la morte di civili hanno avuto luogo anche nella regione di Bago e negli stati di Chin, Kachin, Kayah, Kayin, Mon e Rakhine.
Il 9 ottobre, un’incursione aerea dei militari, seguita da colpi di mortaio esplosi dalle forze di terra contro un campo per sfollati interni nel villaggio di Mung Lai Hkye, nello stato di Kachin, ha ucciso almeno 28 civili, compresi minori, e ne ha feriti almeno altri 57. Le indagini di Amnesty International hanno portato a supporre che sia stata impiegata una bomba non guidata, un’arma imprecisa i cui effetti non possono essere limitati come richiesto dal diritto umanitario internazionale1.
Nella regione di Sagaing e altrove hanno avuto luogo anche intense operazioni di terra, accompagnate da segnalazioni di esecuzioni extragiudiziali e violenze sessuali. Un’unità militare conosciuta come Colonna degli orchi è stata identificata come responsabile di attacchi particolarmente brutali, che comprendevano decapitazioni, smembramenti e mutilazioni dei corpi delle vittime. Secondo quanto riferito, l’11 marzo le forze militari hanno ucciso almeno 22 civili in un monastero nel villaggio di Nan Nein, nel sud dello stato di Shan.
Alla fine del 2023 erano oltre 25.000 le persone arrestate dalle autorità dopo il colpo di stato. Secondo l’Associazione di assistenza per i prigionieri politici, a dicembre circa 20.000 erano ancora in detenzione, tra cui leader e attivisti dell’opposizione, difensori dei diritti umani, giornalisti, studenti, avvocati e operatori sanitari.
Sono continuati i processi gravemente iniqui, in cui più di 1.600 persone sono state condannate a pene detentive, lavori forzati e, in alcuni casi, alla morte. I processi si sono svolti in tribunali improvvisati nelle carceri e nei tribunali militari e, generalmente, gli imputati hanno avuto un accesso limitato o nullo agli avvocati. A maggio, l’attivista politico e scrittore Wai Moe Naing è stato riconosciuto colpevole di alto tradimento e condannato a 20 anni di reclusione. Era stato originariamente arrestato nel 2021 per aver guidato proteste pacifiche e stava già scontando 34 anni di carcere per accuse correlate. Ad agosto, il noto artista hip-hop Byu Har sarebbe stato condannato a 20 anni di reclusione, dopo essere stato arrestato a maggio per aver criticato pubblicamente i leader militari per i ripetuti blackout elettrici.
A settembre, le autorità militari hanno arrestato Kyaw Aye, padre dell’importante attivista politico Kyaw Ko Ko, ricercato dalle autorità militari. La detenzione dei familiari degli oppositori politici è diventata una tattica di ritorsione comune.
Durante l’anno, le autorità militari hanno annunciato diverse amnistie, nelle quali sono state rilasciate oltre 20.000 persone dalle carceri. La maggior parte era detenuta per accuse penali, anche se 2.153 di quelle rilasciate a maggio stavano scontando una pena ai sensi dell’art. 505(a) del codice penale, che punisce il dissenso contro i militari ed è stato ampiamente utilizzato per reprimere l’opposizione pacifica dopo il colpo di stato. In un caso, l’esercito ha dichiarato di aver concesso la grazia per motivi “umanitari” in occasione di una festività buddista, ma ha minacciato di imprigionare nuovamente chiunque avesse “reiterato”2.
In seguito a una grazia concessa ad agosto, la pena detentiva del deposto presidente Win Myint è stata ridotta di quattro anni e quella dell’ex consigliera di stato Aung San Suu Kyi di sei anni. Tuttavia, hanno continuato a scontare rispettivamente otto e 27 anni di carcere, essendo stati precedentemente giudicati colpevoli di una serie di accuse politicamente motivate.
Il mancato accesso alle strutture di detenzione da parte di osservatori indipendenti ha fatto sì che le informazioni sulla salute dei detenuti fossero scarse, anche se a ottobre i militari hanno annunciato che le visite dei familiari ai prigionieri, sospese durante la pandemia da Covid-19, avrebbero potuto riprendere. Secondo quanto riferito, le visite dei parenti sono state negate ai condannati a morte e all’ergastolo. Sono perdurate le condizioni di detenzione disumane, così come le segnalazioni di tortura e altri maltrattamenti nei confronti dei detenuti. Sono pervenute anche segnalazioni di prigionieri politici uccisi o scomparsi durante il trasferimento da una struttura di detenzione all’altra.
L’Ohchr, l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha stimato che circa 120.000 persone siano state trattenute in complessi in zone spesso controllate da milizie filomilitari al confine con Thailandia e Cina, dove sono state costrette a lavorare in truffe informatiche e gioco d’azzardo illegale gestiti da bande criminali. A novembre, l’Alleanza delle tre fratellanze, che ha legami con la Cina, ha dichiarato di aver liberato vittime da alcuni complessi lungo il confine cinese, dopo aver preso di mira la cittadina di Laukkai, noto centro di truffe informatiche nello stato di Shan. Molte delle persone costrette a lavorare nelle frodi informatiche sono state attirate in Myanmar dai paesi vicini, tra cui Cina e Vietnam, con promesse di lavoro e poi obbligate, a volte sotto minaccia di violenza, a partecipare alle truffe online.
Secondo l’Ocha, gli sfollati interni sono stati oltre 2,6 milioni. Tra questi figuravano almeno 500.000 persone sfollate per l’intensificarsi dei combattimenti dopo l’inizio dell’Operazione 1027, a fine ottobre. Molti sfollati hanno continuato a vivere in condizioni deplorevoli, spesso privi di beni e servizi essenziali e costantemente esposti al rischio di attacchi aerei e altre operazioni militari.
Circa 148.000 rohingya e altre persone musulmane sono rimasti sfollati internamente e soggetti al sistema istituzionalizzato di segregazione e discriminazione da lungo tempo sponsorizzato dallo stato, così grave da equivalere al crimine contro l’umanità dell’apartheid. La maggioranza è rimasta confinata in squallidi campi di internamento nello stato di Rakhine, in cui si trovava dal 2012.
Le terribili condizioni in cui vivevano i rohingya sono state considerate uno dei fattori che più ha contribuito al numero di vittime causate dal ciclone Mocha, che ha colpito il Myanmar occidentale a maggio. Secondo quanto riferito, sono morti almeno 100 rohingya che vivevano nei campi di internamento nella cittadina di Sittwe, nello stato di Rakhine. Oltre al grave impatto sui campi di internamento, sono state distrutte anche case e infrastrutture nelle municipalità di Rathedaung e Sittwe, nonché nello stato di Chin e nelle regioni di Sagaing e Magway, colpendo in modo sproporzionato persone sfollate internamente e altre comunità vulnerabili.
All’indomani del ciclone Mocha, le autorità militari hanno ostacolato e, in alcuni casi impedito, l’arrivo degli aiuti umanitari nelle comunità colpite. Secondo alcune segnalazioni, le autorità militari hanno ritardato la concessione di autorizzazioni alle organizzazioni umanitarie internazionali che tentavano di intensificare le operazioni per fornire aiuti umanitari nella regione3.
A seguito delle prove che collegavano società straniere e nazionali alla fornitura di carburante per aerei all’esercito di Myanmar, il Regno Unito, gli Stati Uniti, il Canada, l’Ue e la Svizzera hanno imposto sanzioni di varia gravità a società e persone di Myanmar e Singapore coinvolte nell’approvvigionamento e nella distribuzione di carburante per aerei in Myanmar. Ad agosto, gli Stati Uniti hanno esteso la portata delle possibili sanzioni, dichiarando che chiunque fosse coinvolto in questo settore era a rischio. In un evidente tentativo di eludere le sanzioni, la catena di approvvigionamento è passata dal trasporto diretto di carburante per jet dai fornitori al Myanmar, ai trasferimenti indiretti attraverso Vietnam e Singapore4.
L’azienda svedese di abbigliamento H&M ha annunciato che eliminerà gradualmente le sue attività in Myanmar, dopo che un rapporto della Ong Business and Human Rights Resource Center, pubblicato ad agosto, ha riscontrato gravi abusi nel settore dell’abbigliamento in Myanmar, tra cui salari bassi o non pagati, violenza di genere e repressione dei sindacati. Anche l’azienda spagnola proprietaria del marchio di moda Zara aveva fatto un annuncio simile a luglio.
La repressione militare ha reso praticamente impossibile la protesta pacifica. Secondo quanto riferito, quasi 100 persone sono state arrestate per aver indossato, venduto o acquistato fiori il 19 giugno, giorno del compleanno di Aung San Suu Kyi.
La sorveglianza è stata onnipresente. I continui arresti di persone che avevano pubblicato commenti in rete hanno contribuito a creare un’atmosfera di autocensura.
I militari hanno proseguito con l’uso di norme illecite sulle associazioni per perseguire coloro che percepivano come oppositori. Ad aprile, un tribunale interno al carcere di Myitkyina, nello stato di Kachin, ha condannato il noto leader religioso e difensore dei diritti umani Hkalam Samson a sei anni di reclusione per associazione illegale, terrorismo e incitamento dell’opposizione.
Le libertà degli organi d’informazione sono rimaste gravemente limitate. Durante l’anno, almeno sei giornalisti e altri operatori dei media sono stati arrestati o condannati alla reclusione. Tra di loro figurava il fotoreporter Sai Zaw Thaike, accusato di aver diffuso informazioni che avrebbero potuto causare allarme pubblico o incomprensione verso le autorità militari. A settembre, un tribunale militare nella prigione Insein di Yangon lo ha ritenuto colpevole di sedizione in base a una falsa accusa e lo ha condannato a 20 anni di reclusione con lavori forzati. Sai Zaw Thaike aveva lavorato per il quotidiano online Myanmar Now, bandito dai militari dopo il colpo di stato. A maggio, un tribunale di Yangon ha condannato la fotoreporter Hmu Yadanar Khet Moh Moh Tun a 10 anni di carcere con lavori forzati con l’accusa di terrorismo. La fotoreporter stava già scontando una pena detentiva di tre anni per incitamento alla ribellione e diffusione di notizie cosiddette false.
Secondo Reporters sans frontières, a fine dicembre erano oltre 60 i giornalisti e altri operatori dell’informazione detenuti. Il 10 giugno, le autorità hanno revocato la licenza del quotidiano indipendente Ayeyarwaddy Times, per la presunta pubblicazione di informazioni che turbavano la pace e la tranquillità pubblica. Secondo quanto riferito, il 29 ottobre le autorità militari hanno fatto irruzione negli uffici del portale di notizie Development Media Group, nella municipalità di Sittwe, arrestando un giornalista e una guardia dell’ufficio.
È proseguita la comminazione di condanne a morte, anche nei confronti di prigionieri politici, ma non risulta che abbiano avuto luogo esecuzioni. A quanto pare, le condanne a morte di 38 persone sono state commutate in ergastolo durante l’amnistia concessa a maggio.
Secondo l’Ohchr, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani,i gruppi di opposizione armata hanno regolarmente effettuato attacchi contro civili e infrastrutture civili. Tra le persone uccise, secondo quanto riferito, c’erano amministratori locali, funzionari pubblici e altre persone percepite come affiliate o collaboratrici dei militari. In alcuni casi, gli attacchi hanno comportato lanci di bombe e granate contro uffici pubblici; a giugno, in un attacco contro un ufficio delle imposte a Yangon, quattro dipendenti e altre due persone sono rimasti feriti. L’Ohchr ha riferito che il governo di unità nazionale aveva risposto alle sue richieste di adottare misure per garantire che i gruppi armati contrari ai militari, e a esso affiliati, rispettassero le pertinenti norme del diritto internazionale.
Note:
1 Myanmar: 28 civilians killed in military air strike – new investigation and witness testimony, 13 ottobre.
2 Myanmar: Follow ‘long overdue’ pardons by releasing all those unjustly detained, 3 maggio.
3 Myanmar: Military Authorities Exacerbate the Suffering Caused by Cyclone Mocha, 14 giugno.
4 Myanmar: New shipments of aviation fuel revealed despite the military’s war crimes, 1° marzo.