Rapporto 2020-2021: la pandemia da covid-19 ha colpito maggiormente i gruppi oppressi da decenni

7 Aprile 2021

TOPSHOT - People protest against the death of Joao Alberto Silveira Freitas in Porto Alegre, Brazil on November 23, 2020. - The death of a black man beaten by white security agents in a supermarket belonging to the Carrefour group in Porto Alegre on Thursday night unleashed a wave of indignation in Brazil. (Photo by SILVIO AVILA / AFP) (Photo by SILVIO AVILA/AFP via Getty Images)

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La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza la tremenda eredità costituita da politiche volutamente divisive e distruttive che hanno perpetuato disuguaglianze, discriminazione e oppressione e hanno aperto la strada alla devastazione prodotta dal virus.

È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International in occasione della presentazione del suo Rapporto 2020-2021, che contiene un’approfondita analisi sulle tendenze globali nel campo dei diritti umani e schede su 149 stati.

Sono stati i gruppi già maggiormente vulnerabili, tra cui le donne e i rifugiati, a subire l’impatto devastante della pandemia, a seguito di decenni di politiche discriminatorie decise dai leader mondiali.

Gli operatori sanitari, i lavoratori migranti e quelli attivi nel settore informale sono stati a loro volta trascurati dai sistemi sanitari e da forme di sostegno economico e sociale lacunose.

La risposta alla pandemia è stata ulteriormente compromessa da leader che hanno spietatamente sfruttato la crisi e hanno usato il Covid-19 per attaccare i diritti umani.

“La pandemia ha brutalmente mostrato e acuito le disuguaglianze all’interno degli stati e tra gli stati e ha evidenziato l’incredibile disprezzo che i nostri leader manifestano per la nostra comune umanità. Decenni di politiche divisive, di misure di austerità errate e di scelte di non investire nelle traballanti strutture pubbliche hanno fatto sì che in tanti finissero per essere facili prede del virus”, ha dichiarato Agnès Callamard, nuova segretaria generale di Amnesty International.

“Abbiamo di fronte un mondo in preda al caos. Arrivati a questo punto della pandemia, anche i più reticenti tra i leader al potere si troverebbero in difficoltà a negare che i nostri sistemi sociali, politici ed economici sono a pezzi”, ha aggiunto Callamard.

La pandemia da Covid-19 ha amplificato decenni di disuguaglianze e di erosione dei servizi pubblici

Il rapporto 2020-2021 mostra come le disuguaglianze attuali, eredità di decenni di leadership dannose, hanno fatto sì che la pandemia da Covid-19 abbia avuto un impatto sproporzionatamente negativo su minoranze etniche, rifugiati, anziani e donne.

La pandemia ha peggiorato la già precaria situazione dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti in molti stati, in alcuni casi intrappolandoli in campi squallidi, escludendoli da servizi essenziali o lasciandoli abbandonati a loro stessi a causa del rafforzamento dei controlli di frontiera.

Ad esempio l’Uganda, lo stato più ospitale del continente africano con circa 1.400.000 rifugiati, all’inizio della pandemia ha chiuso immediatamente le frontiere senza eccezione alcuna, col risultato che oltre 10.000 persone sono rimaste abbandonate al confine con la Repubblica Democratica del Congo.

Il rapporto 2020-2021 evidenzia un profondo aumento della violenza di genere e della violenza domestica: a causa delle limitazioni di movimento, molte donne e persone Lgbti hanno incontrato maggiori ostacoli nella ricerca di protezione e sostegno; l’assenza di meccanismi confidenziali di denuncia e la diminuzione, se non la sospensione, dei servizi dedicati hanno lasciato le vittime sole in balia di soggetti violenti.

Coloro che si sono trovati in prima linea di fronte alla pandemia – gli operatori sanitari e i lavoratori del settore informale – hanno subito le conseguenze di sistemi sanitari deliberatamente smantellati e di ridicole misure di protezione sociale. In Bangladesh, a causa del lockdown e del coprifuoco, molti lavoratori del settore informale sono rimasti senza reddito né protezione sociale. In Nicaragua, nel giro di due settimane del mese di giugno, almeno 16 operatori sanitari sono stati licenziati dopo che avevano denunciato la mancanza dei dispositivi di protezione personale e la risposta inadeguata dello stato alla pandemia.

“Stiamo raccogliendo quanto seminato in anni di calcolato diniego dei diritti da parte dei nostri leader. Nel 2020, durante l’eccezionale evento della pandemia, i sistemi sanitari sono stati sottoposti alla prova definitiva e le persone sono state lasciate in una caduta libera economica. Gli eroi del 2020 sono gli operatori sanitari in prima linea per salvare vite umane e coloro i quali, sebbene collocati alla fine della scala del reddito, hanno lavorato per nutrire le famiglie e mantenere in funzione i servizi essenziali. È crudele ma è così: coloro che hanno dato di più sono stati protetti di meno”, ha sottolineato Callamard.

La pandemia, un’arma per attaccare ulteriormente i diritti umani

Il rapporto 2020-2021 presenta un quadro fosco dei fallimenti dei leader globali quando si è trattato di affrontare la pandemia, attraverso politiche basate sull’opportunismo e sul totale disprezzo per i diritti umani.

“Le risposte dei nostri leader sono state di volta in volta mediocri, mendaci, egoiste, fraudolente. Alcuni hanno cercato di normalizzare le eccessive misure di emergenza adottate per contrastare la pandemia, altri sono andati persino oltre, intravedendo la possibilità di rafforzare il loro potere. Invece di sostenere e proteggere le persone, hanno semplicemente usato la pandemia come un’arma per attaccare i diritti umani”, ha accusato Callamard.

Un modello costante del 2020 è stata l’adozione di leggi per criminalizzare le critiche relative alla pandemia. In Ungheria il governo del primo ministro Viktor Orbán ha modificato il codice penale introducendo pene fino a cinque anni di carcere per “diffusione di informazioni false” sulla pandemia. Nella zona del Golfo persico, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman hanno usato la pandemia come pretesto per continuare a sopprimere il diritto alla libertà d’espressione, avviando procedimenti penali per “diffusione di notizie false” ai danni di persone che avevano pubblicato sui social media commenti critici nei confronti della risposta sanitaria dei rispettivi governi.

Altri leader hanno autorizzato l’uso eccessivo della forza. Nelle Filippine il presidente Rodrigo Duterte ha detto di aver ordinato alla polizia di uccidere chi protestava o chi causava “problemi” durante le misure di quarantena. In Nigeria la brutalità delle forze di sicurezza ha causato morti nel corso delle proteste. Nel Brasile del presidente Bolsonaro, tra gennaio e giugno le forze di polizia hanno ucciso almeno 3181 persone, una media di 17 al giorno.

Alcuni leader hanno fatto persino di più, usando l’elemento distraente della pandemia per stroncare critiche estranee al virus e commettere ulteriori violazioni dei diritti umani mentre il mondo guardava altrove. In India il primo ministro Narendra Modi ha inasprito la repressione contro gli attivisti della società civile, anche attraverso raid nelle abitazioni, con la scusa della lotta al terrorismo. In Cina il governo di Xi Jinping ha proseguito a perseguitare gli uiguri e le altre minoranze musulmane del Xinjiang e a Hong Kong ha fatto entrare in vigore una legge sulla sicurezza nazionale dai contenuti vaghi e generici per legittimare la repressione politica.

“Le istituzioni internazionali come il Tribunale penale internazionale e i meccanismi delle Nazioni Unite sui diritti umani sono fatti apposta per chiamare gli stati e le singole persone a rendere conto del loro operato. Purtroppo il 2020 ha mostrato che tali organismi sono finiti in uno stallo politico per colpa di leader che hanno cercato di compromettere e di approfittare delle risposte collettive alle violazioni dei diritti umani”, ha proseguito Callamard.

L’interesse nazionale è prevalso sulla cooperazione internazionale nella risposta alla pandemia da Covid-19

Sulla scena internazionale, i leader mondiali hanno ostacolato i tentativi di organizzare una ripartenza collettiva, bloccando o pregiudicando la cooperazione internazionale.

I leader degli stati ricchi, come l’ex presidente degli Usa Trump, hanno fatto scempio della cooperazione globale acquistando buona parte delle forniture mondiali di vaccini, lasciando poco o nulla agli altri. Questi stati hanno rinunciato a premere sulle aziende farmaceutiche affinché condividessero conoscenze e tecnologie al fine di aumentare la fornitura globale di vaccini.

Il governo cinese di Xi Jinping ha censurato e perseguitato gli operatori sanitari e i giornalisti che avevano cercato di lanciare un allarme tempestivo sul virus, sopprimendo così informazioni cruciali.

Gli stati del G20 si sono offerti di sospendere il pagamento del debito da parte degli stati poveri ma hanno chiesto che questo venisse ripagato più avanti con gli interessi.

“La pandemia ha acceso un faro spietato su un mondo incapace di cooperare efficacemente su questioni che necessitano disperatamente di un intervento globale. L’unico modo per uscire da questo caos è la cooperazione internazionale. Gli stati devono assicurare che i vaccini siano rapidamente disponibili per tutti, ovunque e gratuitamente. Le aziende farmaceutiche devono condividere conoscenze e tecnologie affinché nessuno resti indietro. Gli stati del G20 e le istituzioni finanziarie internazionali devono rimodulare il debito dei 77 stati più poveri affinché possano reagire e riprendersi dalla pandemia”, ha sottolineato Callamard.

Traditi dai loro governi, i movimenti di protesta sono stati presenti ovunque

Le politiche regressive hanno spinto molte persone ad aderire a lotte in corso da lungo tempo: è il caso del movimento Black Live Matters negli Usa, delle proteste #EndSARS in Nigeria e delle nuove creative forme di protesta come gli scioperi virtuali.

Il Rapporto 2020-2021 descrive molte importanti vittorie conseguite dalle attiviste e dagli attivisti per i diritti umani nell’ultimo anno, soprattutto per quanto riguarda la violenza di genere, come l’adozione di nuove leggi per contrastare la violenza contro le ragazze e le donne in Corea del Sud, Kuwait e Sudan e la decriminalizzazione dell’aborto in Argentina, Corea del Sud e Irlanda del Nord.

“Nel 2020 la leadership non è derivata dal potere, dal privilegio o dal profitto. È derivata dalle innumerevoli persone in marcia per chiedere il cambiamento. Abbiamo visto quanto sostegno abbiano avuto i movimenti #EndSARS e Black Lives Matter, così come le proteste contro la repressione e la disuguaglianza in varie parti del mondo, come Cile, Hong Kong, Iraq e Polonia. Spesso rischiando la loro incolumità, sono state le persone comuni e quelle che difendono i diritti umani a indicare la direzione che deve prendere il mondo. Queste sono le persone che guidano la lotta per un mondo migliore, più sicuro e più equo”, ha proseguito Callamard.

“Siamo a un bivio. Possiamo allentare le catene che degradano la dignità umana. Possiamo ripartire da zero per costruire un mondo basato sull’uguaglianza, sui diritti umani e sull’umanità. Dobbiamo imparare dalla pandemia e unirci in un’azione coraggiosa e creativa affinché ognuno sia in una posizione di uguaglianza”, ha concluso Callamard.