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Nonostante il 2009 sia stato un anno fondamentale per la giustizia internazionale, le lacune esistenti nella giustizia globale sono state acuite dal potere della politica. È quanto affermato da Amnesty International, che ha presentato oggi il Rapporto Annuale 2010.
Nella sua analisi sulla situazione dei diritti umani nel mondo nel periodo gennaio – dicembre 2009, Amnesty International segnala violazioni in 159 paesi e punta il dito contro quei governi potenti che stanno bloccando i passi avanti della giustizia internazionale, ponendosi al di sopra delle norme sui diritti umani, proteggendo dalle critiche gli alleati e agendo solo quando politicamente conveniente.
‘La repressione e l’ingiustizia prosperano nelle lacune della giustizia globale, condannando milioni di persone a una vita di violazioni, oppressione e violenza‘ – ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, nel corso della presentazione del Rapporto annuale (pubblicato in Italia da Fandango Libri), che si è svolta questa mattina presso l’Associazione della Stampa Estera di Roma.
‘I governi devono assicurare che nessuno si ponga al di sopra della legge e che ogni persona abbia accesso alla giustizia, per tutte le violazioni dei diritti umani subite. Fino a quando i governi non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno rimarrà fuori dalla portata della maggior parte dell’umanità‘ – ha affermato Weise.
L’organizzazione per i diritti umani ha pertanto rinnovato la richiesta ai governi di garantire che renderanno conto del loro operato, dare piena adesione alla Corte penale internazionale e assicurare che i crimini di diritto internazionale saranno sottoposti a procedimenti giudiziari ovunque nel mondo. Agli stati che rivendicano una leadership globale, tra cui quelli del G20, compete la responsabilità specifica di dare l’esempio.
Il mandato di cattura emesso nel 2009 dalla Corte penale internazionale nei confronti del presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir, per crimini di guerra e contro l’umanità, è stato un evento epocale che ha dimostrato che anche un capo di stato in carica non è al di sopra della legge. Tuttavia, il rifiuto da parte dell’Unione africana di cooperare, nonostante la terribile violenza che ha colpito centinaia di migliaia di persone nel Darfur, è stato un crudo esempio di come i governi antepongano la politica alla giustizia.
A sua volta, la paralisi del Consiglio Onu dei diritti umani sullo Sri Lanka, nonostante il governo e le Tigri per la liberazione della patria Tamil si siano resi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e possibili crimini di guerra, è stata la prova dell’inazione della comunità internazionale nei momenti di bisogno. Infine, le raccomandazioni del rapporto Goldstone per accertare le responsabilità di quanto accaduto nel conflitto di Gaza attendono ancora di essere tenute in conto da parte di Israele e Hamas.
A livello mondiale, le lacune della giustizia hanno rafforzato un pernicioso reticolo di repressione. Le ricerche di Amnesty International hanno documentato torture e altri maltrattamenti in almeno 111 paesi, processi iniqui in almeno 55 paesi, restrizioni alla libertà di parola in almeno 96 paesi e detenzioni di prigionieri di coscienza in almeno 48 paesi.
Gli organismi per i diritti umani e le attiviste e gli attivisti che li difendono sono finiti sotto attacco in molti paesi, i cui governi hanno impedito loro di lavorare od omesso di fornire protezione.
Nella regione Medio Oriente e Africa del Nord, l’intolleranza dei governi nei confronti delle critiche è stata sistematica in Arabia Saudita, Siria e Tunisia e la repressione è aumentata in Iran. In Asia, il governo della Cina ha esercitato ancora più pressione verso chi provava a sfidare la sua autorità, attraverso arresti e intimidazioni di difensori dei diritti umani. Migliaia di persone, a causa della forte repressione e delle difficoltà economiche, hanno lasciato la Corea del Nord e Myanmar.
Lo spazio per le voci indipendenti e per la società civile si è ridotto in alcune parti della regione Europa e Asia centrale: inique limitazioni alla libertà d’espressione hanno avuto luogo in Azerbaigian, Bielorussia, Russia, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan. Il continente americano è stato tormentato da centinaia di omicidi illegali commessi dalle forze di sicurezza in vari paesi tra cui Brasile, Colombia, Giamaica e Messico, mentre negli Stati Uniti d’America è proseguita l’impunità per le violazioni dei diritti umani compiute nel contesto della lotta al terrorismo. Governi africani, come quelli di Guinea e Madagascar, hanno affrontato il dissenso con un uso eccessivo della forza e omicidi illegali, mentre le voci critiche sono state oggetto di repressione, tra gli altri, in Etiopia e Uganda.
Un impietoso disprezzo per le popolazioni civili ha caratterizzato i conflitti. Gruppi armati e forze governative hanno violato il diritto internazionale nella Repubblica Democratica del Congo, nello Sri Lanka e nello Yemen. Nel conflitto di Gaza e del sud d’Israele, le forze israeliane e i gruppi armati palestinesi hanno ucciso e ferito illegalmente i civili. Migliaia di persone hanno subito le conseguenze dell’escalation di violenza da parte dei talebani in Afghanistan e Pakistan, così come degli scontri in Iraq e Somalia. Nella maggior parte dei conflitti, le donne e le bambine sono state stuprate o sottoposte ad altre forme di violenza da parte delle forze governative e dei gruppi armati.
Tra gli altri dati che emergono dal Rapporto annuale 2010 di Amnesty International, si segnalano:
La dimensione globale di milioni di persone spinte nella povertà dalle crisi alimentare, energetica e finanziaria, ha dimostrato l’urgente bisogno di contrastare gli abusi che determinano la povertà.
‘I governi devono essere chiamati a rispondere per le violazioni dei diritti umani che causano e aumentano la povertà. La Conferenza Onu di revisione degli Obiettivi di sviluppo del millennio, che si terrà a New York a settembre, costituirà un’opportunità per i leader del mondo per passare dalle promesse a impegni vincolanti‘ – ha proseguito Weise.
Sulle donne, in particolare quelle povere, si abbatte il peso dell’incapacità dei governi di realizzare questi Obiettivi. Si stima che le complicazioni legate alla gravidanza siano costate la vita a circa 350.000 donne. La mortalità materna è spesso la conseguenza diretta della discriminazione di genere, della violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e della negazione del diritto alle cure sanitarie.
‘Se vogliono fare passi avanti negli Obiettivi di sviluppo del millennio, i governi devono promuovere l’uguaglianza di genere e contrastare la discriminazione contro le donne‘ – ha sottolineato Weise.
Amnesty International ha chiesto agli stati del G20 ancora inadempienti (Arabia Saudita, Cina, India, Indonesia, Russia, Stati Uniti d’America e Turchia) di ratificare lo Statuto della Corte penale internazionale. La Conferenza internazionale di revisione sulla Corte, che inizia a Kampala, in Uganda, il 31 maggio, è un’occasione per i governi per dimostrare il loro impegno nei confronti della Corte.
Nonostante i gravi insuccessi registrati nel 2009 nei tentativi di assicurare giustizia, molti avvenimenti hanno fatto segnare dei progressi. In America Latina sono state riaperte inchieste su crimini coperti da leggi di amnistia, come dimostrano le epocali sentenze riguardanti l’ex presidente del Perù Alberto Fujimori, condannato per crimini contro l’umanità, e l’ultimo presidente militare dell’Argentina Reynaldo Bignone, condannato per sequestri e torture. Tutti i processi celebrati dalla Corte speciale per la Sierra Leone si sono conclusi salvo quello, ancora in corso, contro l’ex presidente della Liberia, Charles Taylor.
‘Il bisogno di giustizia globale è una lezione fondamentale da trarre dallo scorso anno. La giustizia porta equità e verità alle vittime, è un deterrente nei confronti delle violazioni dei diritti umani e, in definitiva, conduce verso un mondo più stabile e sicuro‘ – ha concluso Weise.