Rapporto Chilcot sulla guerra all’Iraq del 2003: il nostro commento

7 Luglio 2016

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Questo il commento di Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International: ‘Nel periodo precedente l’invasione dell’Iraq, Amnesty International sollecitò il governo britannico a valutare con estrema attenzione le conseguenze, potenzialmente gravi, di un’azione militare. Alla vigilia dell’invasione guidata dagli Usa, ribadimmo la necessità che il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto internazionale umanitario venissero pienamente rispettati.

Tragicamente, i nostri timori rispetto alle conseguenze per la popolazione civile irachena si rivelarono molto fondati: migliaia di civili uccisi e feriti, anche in attacchi illegali; milioni di persone costrette a lasciare le loro case; un intero paese trascinato nel caos da forze di occupazione incapaci di rispettare il loro obbligo internazionale di mantenere la sicurezza.

Anche se il rapporto Chilcot non approfondisce aspetti specifici legati ai diritti umani, una disamina delle conseguenze dell’invasione irachena che voglia dirsi seria non può ignorare la devastante eredità lasciata a milioni di iracheni. I governi di Londra e di Washington usarono cinicamente l’agghiacciante situazione dei diritti umani sotto Saddam Hussein – documentata anche da numerosi rapporti di Amnesty International – per favorire la crescita del sostegno dell’opinione pubblica alla guerra imminente. La loro condotta durante l’occupazione mostrò fino in fondo la loro ipocrisia.

La successiva occupazione fu caratterizzata da massicce violazioni dei diritti umani. A 13 anni di distanza, sinonimo dell’invasione restano le fotografie delle torture ad Abu Ghraib, l’uccisione di Baha Mousa sotto custodia britannica e la spirale di violenza settaria e di attentati suicidi che ha causato decine di migliaia di morti.

Un modo per dimostrare che il governo britannico ha appreso almeno alcune delle lezioni dell’Iraq sarebbe quello di assicurare che le indagini in corso sulle denunce di uccisioni illegali e di torture di persone sotto custodia delle forze armate britanniche in Iraq siano davvero efficaci e determinino se e quanto le violazioni dei diritti umani da parte di queste ultime siano state sistematiche e fino a quale livello della catena di comando risalgano le responsabilità, cosa che non è mai stata fatta fino a oggi.

Qualora vi siano prove sufficienti, gli indiziati di reati dovrebbero essere processati, a prescindere dal loro grado e ruolo, e le vittime dovrebbero avere diritto a una piena riparazione. Il governo britannico dovrebbe inoltre cooperare senza riserve col Tribunale penale internazionale, che ha avviato un’indagine preliminare su presunti crimini commessi da cittadini del Regno Unito in Iraq dal 2003 al 2008, tra cui uccisioni, maltrattamenti e torture.