Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel 2012

9 Aprile 2013

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Nonostante alcuni deludenti passi indietro, la tendenza globale verso l’abolizione della pena di morte è proseguita: è quanto ha dichiarato oggi Amnesty International rendendo noto il suo rapporto su pena di morte ed esecuzioni nel 2012. Lo scorso anno ha visto la ripresa delle esecuzioni in paesi che da tempo non facevano ricorso alla pena di morte, come Gambia, Giappone, India e Pakistan, ma anche un allarmante aumento in Iraq. L’uso della pena di morte continua, tuttavia, a essere ristretto a un gruppo isolato di paesi e passi avanti verso la sua abolizione sono stati registrati in tutte le regioni del mondo.

Nel 2012 ci sono state esecuzioni solo in 21 paesi: lo stesso numero del 2011, ma in calo rispetto a un decennio prima (28 paesi nel 2003). Amnesty International è venuta a conoscenza di 682 esecuzioni, due in più rispetto al 2011, e di almeno 1722 sentenze capitali in 58 paesi, rispetto alle 1923 in 63 paesi dell’anno precedente.

Questi numeri, tuttavia, non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International ritiene abbiano avuto luogo in Cina, dove i dati sulla pena di morte sono mantenuti segreti.

I passi indietro che abbiamo visto in alcuni paesi sono stati deludenti, ma non hanno invertito la tendenza mondiale contro il ricorso alla pena di morte. In molte parti del mondo le esecuzioni stanno diventando un ricordo del passato” – ha affermato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. “Nel mondo solo un paese su 10 continua a usare la pena di morte. I loro leader dovrebbero chiedersi perché applicano ancora una pena crudele e disumana che il resto del mondo sta abbandonando”.

I primi cinque paesi in cui, nel 2012, sono avvenute esecuzioni sono, nell’ordine, Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita e Stati Uniti, seguiti dallo Yemen. I metodi di esecuzione hanno compreso l’impiccagione, la decapitazione, la fucilazione e l’iniezione letale. In Arabia Saudita il corpo di un uomo decapitato è stato successivamente crocifisso. I crimini per i quali nel 2012 sono state eseguite condanne a morte hanno incluso anche reati non violenti legati alla droga e di natura economica, ma anche l’apostasia, la blasfemia e l’adulterio,  che non dovrebbero assolutamente essere considerati reati.

L’area Asia – Pacifico è stata teatro di alcune deludenti battute d’arresto: India, Giappone e Pakistan che hanno ripreso le esecuzioni dopo un lungo periodo. A novembre, in India è stata eseguita la prima condanna a morte dal 2004, con l’impiccagione di Ajmal Kasab, uno degli uomini coinvolti negli attacchi di Mumbai nel 2008. In Giappone, dopo 20 mesi senza esecuzioni, tre prigionieri nel braccio della morte sono stati impiccati a marzo, seguiti da un quarto alla fine dell’anno. Ancora una volta, la Cina ha messo a morte più persone che il resto del mondo messo insieme, ma a causa della segretezza che circonda l’uso della pena di morte nel paese, non è stato possibile ottenere dati certi. Nella stessa regione, però, vi sono stati anche sviluppi positivi. Il Vietnam non ha eseguito alcuna condanna, mentre Singapore ha osservato una moratoria sulla pena di morte e la Mongolia ha ratificato un importante trattato internazionale che impegna il paese all’abolizione.

L’area dell’Oceano Pacifico ha continuato a essere una zona virtualmente libera dalla pena di morte.

Nonostante gli sviluppi positivi in Medio Oriente e Africa del Nord, l’uso della pena capitale è rimasto ancora motivo di grande preoccupazione. Arabia Saudita, Iran, Iraq e Yemen hanno mantenuto alti livelli di esecuzione: il 99 per cento delle condanne a morte eseguite nella regione ha avuto luogo in questi quattro paesi. In particolare, vi è stata una crescita allarmante delle esecuzioni in Iraq, dove sono state messe a morte almeno 129 persone, quasi il doppio rispetto alle 68 del 2011. L’Iran ancora una volta si è collocato dopo la Cina per numero esecuzioni. Le autorità hanno ufficialmente reso note 314 esecuzioni, ma il numero reale è di certo molto più alto. Il conflitto in Siria ha reso impossibile determinare se nel paese vi siano state esecuzioni.

Nelle Americhe, gli Stati Uniti sono rimasti l’unico paese a compiere esecuzioni: le esecuzioni registrate nel 2012, 43, sono state le stesse del 2011, ma sono avvenute in nove stati degli Usa anziché in 13. Ad aprile il Connecticut è divenuto il 17esimo stato abolizionista, mentre a novembre un referendum sull’abolizione in California non è passato per poco.

I paesi dei Caraibi di madrelingua inglese sono rimasti senza esecuzioni, anche se in tre dei 12 paesi dell’area sono state emesse 12 condanne a morte.

Nell’Africa subsahariana ci sono stati ulteriori progressi. Il Benin ha fatto passi avanti sul piano legislativo per abolire la pena di morte dalla sua legislazione. Il governo del Ghana ha accolto la raccomandazione di abolire la pena di morte dalla nuova Costituzione. In Sierra Leone non ci sono più prigionieri nel braccio della morte.

Tuttavia, le condanne a morte in questa regione sono cresciute notevolmente dal 2011 al 2012, a causa degli alti numeri registrati in Sudan e Gambia. In quest’ultimo paese, dopo quasi 30 anni, sono state messe a morte nove persone. A seguito delle proteste internazionali, il presidente Yahya Jammeh ha annunciato una moratoria “condizionata” sulle esecuzioni che sarà “automaticamente rimossa” se i tassi di crimine aumenteranno. In Sudan ci sono state almeno 19 esecuzioni e 199 condanne a morte.

La Bielorussia ha continuato a essere l’unico paese nella regione Europa – Asia centrale a eseguire condanne a morte. Lo ha fatto in forma segreta, mettendo a morte almeno tre persone.

La Lettonia è stato il 97esimo paese del mondo a divenire abolizionista per tutti i reati, dopo aver rimosso dalla sua legislazione l’ultimo crimine punibile con la pena capitale.

Un argomento frequentemente usato dai sostenitori della pena di morte è che questa agisce come deterrente contro il crimine. Tuttavia, un’importante ricerca pubblicata negli Usa nel 2012 ha concluso che l’argomento della deterrenza non può essere usato per giustificare la pena di morte.

“I governi che usano ancora la pena di morte non hanno più scuse. Non c’è più alcuna prova che indichi che la pena di morte abbia un potere deterrente speciale contro il crimine” – ha affermato Shetty.

“La vera ragione per l’uso della pena di morte può spesso essere trovata altrove. Nel 2012, abbiamo ancora una volta assistito con grande preoccupazione all’uso della pena di morte per quelli che sono sembrati essere scopi politici, o come misura populista o come strumento di repressione” – ha concluso Shetty.

Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezioni, indipendentemente da: natura o circostanze del crimine, colpevolezza, innocenza o altre caratteristiche dell’individuo, metodo usato dallo stato per compiere esecuzioni. La pena di morte nega il diritto alla vita ed è la pena più crudele, disumana e degradante.