Tempo di lettura stimato: 11'
Rapporto di Amnesty International sull’Arabia Saudita: il tribunale speciale, strumento politico per ridurre al silenzio le voci critiche
Un nuovo rapporto pubblicato oggi da Amnesty International mostra come, nonostante tutta la loro retorica sulle riforme, le autorità dell’Arabia Saudita stiano usando il Tribunale speciale come un’arma per ridurre sistematicamente al silenzio il dissenso.
In occasione della pubblicazione del rapporto, Amnesty International ha lanciato una campagna per chiedere il rilascio immediato e incondizionato di tutti i difensori dei diritti umani in carcere solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione.
Il rapporto documenta l’enorme impatto dei processi di fronte al Tribunale speciale nei confronti di difensori dei diritti umani, scrittori, economisti, giornalisti, figure religiose, riformisti e attivisti politici, compresi quelli appartenenti alla minoranza sciita, che hanno subito dure condanne, anche alla pena di morte, per vaghe accuse basate sulle leggi antiterrorismo e contro i reati informatici.
Il rapporto è basato su un ampio esame di atti processuali, di dichiarazioni del governo e di norme nazionali così come su interviste ad attivisti, avvocati e persone legate ai casi approfonditi nel testo.
Amnesty International ha scritto alle autorità saudite il 12 dicembre 2019 e ha ricevuto un’unica replica dalla Commissione governativa sui diritti umani nella quale si forniscono sommarie informazioni su norme e procedure vigenti ma non si risponde direttamente sui casi presentati nel rapporto.
“Il governo saudita sfrutta il Tribunale speciale per dare una falsa idea di legalità sull’uso distorto delle norme antiterrorismo per ridurre al silenzio chi lo critica. Ogni fase dei procedimenti di fronte al Tribunale speciale è segnata da violazioni dei diritti umani, quali il negato accesso alla difesa, la detenzione senza contatti col mondo esterno e le condanne emesse solo sulla base di ‘confessioni’ estorte con la tortura“, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“Le nostre ricerche sbugiardano la nuova immagine riformista che l’Arabia Saudita sta cercando di promuovere: il governo usa un organo giudiziario come il Tribunale speciale per sopprimere spietatamente coloro che hanno il coraggio di esprimere opposizione, difendere i diritti umani o chiedere riforme autentiche“, ha aggiunto Morayef.
La retorica governativa sulle riforme, aumentata dopo la nomina del principe della corona Mohammed bin Salman, è profondamente in contrasto con la situazione reale dei diritti umani nel paese. Proprio mentre introducevano provvedimenti in favore dei diritti delle donne, le autorità avviavano un duro giro di vite nei confronti delle attiviste più note che per anni avevano lottato per quelle riforme e di altri cittadini che spingevano per un cambiamento.
Il Tribunale speciale è stato istituito nell’ottobre 2008 per processare imputati di reati di terrorismo. Dal 2011 è stato sistematicamente usato per giudicare persone incriminate in modo del tutto vago di reati di terrorismo che spesso non sono altro che pacifiche azioni politiche.
La legge antiterrorismo, che presenta una formulazione del tutto generica e ampia di “terrorismo” e “reato di terrorismo”, contiene norme che criminalizzano la pacifica espressione delle idee.
Il rapporto di Amnesty International descrive l’attività del Tribunale speciale tra il 2011 e il 2019 attraverso l’analisi dei casi di 95 persone, per lo più uomini, processate, condannate o rinviate a giudizio.
Dei casi esaminati, 52 stanno scontando condanne da cinque a 30 anni e altri 11 sono tuttora sotto processo, sempre per l’esercizio pacifico della libertà di espressione o di associazione.
Tra i casi analizzati da Amnesty International, molti riguardano appartenenti alla minoranza sciita e comprendono anche imputati processati per “reati” che avrebbero commesso quando erano minorenni e che sono attualmente a rischio di esecuzione a seguito di processi gravemente irregolari.
Dal 2016 sono stati messi a morte almeno 28 esponenti della minoranza sciita, nella maggior parte dei casi condannati dal Tribunale speciale unicamente sulla base di “confessioni estorte con la tortura”.
Processi gravemente irregolari
Amnesty International ha esaminato accuratamente gli atti giudiziari di otto processi del Tribunale speciale che hanno riguardato 68 imputati della minoranza sciita, incriminati per lo più di aver preso parte a proteste antigovernative, e altre 27 persone processate per l’espressione pacifica delle loro idee e per il loro attivismo in favore dei diritti umani.
Rispetto a ognuno dei 95 imputati, l’organizzazione ha concluso che i processi sono stati gravemente irregolari. Le condanne, in molti casi alla pena capitale, sono state inflitte sulla base di accuse vaghe legate alla criminalizzazione dell’opposizione politica o per fatti di violenza.
Le accuse più comuni nei processi analizzati da Amnesty sono: “disobbedienza alla famiglia reale”, “messa in discussione dell’integrità dei funzionari dello stato e del sistema giudiziario”, “incitamento alla disobbedienza attraverso l’invito a manifestare” e “costituzione di un’organizzazione priva di autorizzazione”. Si tratta di atti protetti dai diritti alla libertà di espressione, di manifestazione e di associazione.
Ogni singolo imputato nei processi esaminati da Amnesty International non ha avuto accesso a un avvocato dal momento dell’arresto e per tutti gli interrogatori. Gli appelli contro le sentenze del Tribunale speciale si svolgono a porte chiuse in assenza degli imputati e degli avvocati.
Uno degli aspetti più sconvolgenti è l’affidamento privo di dubbi sulle “confessioni” estorte con la tortura. Almeno 20 sciiti processati dal Tribunale speciale sono stati condannati a morte sulla base di tali “confessioni” e 17 condanne sono state già eseguite.
Ridurre al silenzio i dissidenti pacifici
Praticamente tutte le voci indipendenti dell’Arabia Saudita (difensori dei diritti umani, scrittori, esponenti religiosi e altri ancora) stanno scontando lunghe condanne inflitte a partire dal 2011 dal Tribunale speciale o da altre corti oppure sono sotto processo per accuse relative alle loro attività pacifiche.
Il Tribunale speciale ha condannato tutti i fondatori dei gruppi indipendenti per i diritti umani, sciolti nel 2013. Tra questi, gli 11 fondatori dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici e altri difensori dei diritti umani quali Mohammad al-Otaibi, fondatore dell’Unione per i diritti umani, condannato a 14 anni per aver cercato di costituire un organismo indipendente per i diritti umani. Al-Otaibi è stato successivamente raggiunto da nuove accuse per aver comunicato con organizzazioni internazionali e aver cercato asilo politico all’estero.
Sotto processo di fronte al Tribunale speciale è anche Salman al-Awda, un religioso riformista arrestato nel settembre 2017 che rischia la pena di morte solo per aver esercitato in modo pacifico i suoi diritti alla libertà di espressione e di associazione.
Complessivamente, Amnesty International ha analizzato i processi e le condanne di 27 esponenti religiosi e considera 22 di loro prigionieri di coscienza di cui chiede l’immediato e incondizionato rilascio.
Stroncare il dissenso nella Provincia orientale
Dal 2011 oltre 100 sciiti sono stati processati dal Tribunale speciale per aver criticato pacificamente il governo nel corso di interventi pubblici o tramite i social media e per aver preso parte a proteste antigovernative. Erano accusati, in modo generico e vago, di aver organizzato o sostenuto proteste, aver preso parte ad azioni violente o aver spiato in favore dell’Iran.
Il 2 gennaio 2016 le autorità saudite hanno annunciato l’esecuzione di un noto religioso sciita, Nimr al-Nimr, noto per le sue critiche al governo. La sua esecuzione ha scatenato nuove proteste nella Provincia orientale. Nel luglio 2017 Youssuf al-Muhsikhass è stato messo a morte insieme a tre sciiti dopo un processo gravemente irregolare e nell’aprile 2019 c’è stata l’esecuzione di massa di 37 persone, per lo più sciite.
Il Tribunale sociale ha anche condannato a morte diversi imputati per reati commessi da minorenni a seguito di “confessioni” estorte con la tortura o sotto costrizione. Alcune condanne a morte sono state eseguite.
Tre minorenni al momento del reato (Ali al-Nimr, Abdullah al-Zaher e Dawood al-Marhoon), arrestati nel 2012 quando avevano 17, 16 e 17 anni per aver partecipato a proteste antigovernative e processati dal Tribunale speciale, rischiano l’esecuzione da un momento all’altro.
Occorrono riforme urgenti
Amnesty International sollecita l’immediato e incondizionato rilascio di tutti i prigionieri di coscienza e l’introduzione di riforme fondamentali alle procedure del Tribunale speciale in modo che possa condurre processi equi e tutelare gli imputati dalla detenzione arbitraria e dalla tortura.
L’organizzazione per i diritti umani chiede anche l’avvio di indagini indipendenti sulle denunce di maltrattamenti e torture in carcere e che sia fornita piena riparazione alle vittime della tortura e di altre violazioni dei diritti umani commesse da funzionari dello stato o da altri su loro comando.
“Se il re e il principe della Corona vogliono essere seri quando parlano di riforme, devono anzitutto rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri di coscienza, assicurare che le loro condanne siano annullate e dichiarare una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni con la prospettiva di abolire la pena di morte“, ha concluso Morayef.
Nel marzo e nel settembre 2019 il Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani ha adottato dichiarazioni congiunte senza precedenti sull’Arabia Saudita individuando una serie di criteri su cui basare riforme sui diritti umani. Poiché nessuno di questi è stato rispettato, è necessario che gli stati membri del Consiglio continuino a seguire da vicino la situazione istituendo un meccanismo di monitoraggio e reportistica sulla situazione dei diritti umani.