An Anti-Balaka fighter, member of a militia opposed to the Seleka rebel group, puts a knife to his throat showing what he would do to any Seleka, on the outskirts of the Boy-Rabe neighborhood in Bangui on December 14, 2013. France raised alarm on December 13 over worsening violence in the Central African Republic, as UN chief Ban Ki-moon urged warring Christians and Muslims to stop the bloodshed that has left more than 600 dead in the past week. AFP PHOTO IVAN LIEMAN (Photo credit should read Ivan Lieman/AFP/Getty Images)
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Secondo un rapporto sulla Repubblica Centrafricana diffuso il 12 febbraio da Amnesty International, la forza internazionale di peacekeeping non è in grado d’impedire la pulizia etnica in atto contro la comunità musulmana nell’ovest del paese.
Le milizie anti-balaka stanno portando avanti attacchi violenti contro la comunità musulmana, col risultato di un esodo di proporzioni storiche.
Nel suo rapporto, Amnesty International contesta la reazione tiepida della comunità internazionale alla crisi in corso da oltre un anno nella Repubblica Centrafricana, mettendo in evidenza come i peacekeeper dispiegati nel paese siano stati riluttanti a contrastare le milizie anti-balaka e a proteggere la comunità musulmana.
Nelle ultime settimane, Amnesty International ha raccolto oltre 100 testimonianze dirette di attacchi su larga scala compiuti dalle milizie anti-balaka contro la popolazione civile musulmana nelle città di Bouali Boyali, Boussembele, Bossemptele e Baoro. I peacekeeper non sono stati dispiegati in queste aree, lasciando i civili senza protezione.
L’attacco più grave è avvenuto il 18 gennaio a Bossemptele e ha provocato almeno 100 vittime tra la popolazione musulmana, tra cui donne, anziani e un imam settantenne.
Per scampare agli attacchi, l’intera popolazione musulmana di numerosi villaggi e città ha lasciato le proprie abitazioni mentre i pochi rimasti hanno cercato riparo in chiese e moschee.
Le preoccupazioni sulla natura settaria della violenza nella Repubblica Centrafricana avevano spinto il Consiglio di sicurezza, nel dicembre 2013, ad autorizzare l’invio dei peacekeeper nel paese. La forza di peacekeeping – composta da 5500 soldati dell’Unione africana e da 1600 soldati francesi – è stata posta a protezione di Bangui e di alcune città a nord e a sudovest della capitale. Ma persino qui, nel quartiere musulmano PK5, migliaia di civili stanno continuando a lasciare le loro abitazioni.
La violenza, l’odio e l’instabilità sono il risultato diretto della crisi dei diritti umani iniziata nel dicembre 2012, quando le forze seleka a prevalenza musulmana hanno lanciato un’offensiva culminata nella presa del potere, nel marzo 2013. Al governo per circa 10 mesi, le forze seleka hanno compiuto massacri, esecuzioni extragiudiziali, stupri, torture, saccheggi e distruzioni di massa dei villaggi cristiani.
Alla ritirata delle forze seleka, la forza internazionale di peacekeeping ha consentito alle milizie anti-balaka di prendere il controllo del territorio, città dopo città. La violenza e l’espulsione forzata dei civili musulmani erano del tutto prevedibili.
Anche se fuori dal potere e con una ridotta capacità operativa e di movimento, le forze seleka hanno proseguito a compiere attacchi vigliacchi contro i civili cristiani e le loro proprietà. Uomini armati delle comunità musulmana, agendo in modo indipendente o nell’ambito delle forze seleka, si sono resi protagonisti di attacchi brutali e settari contro i civili cristiani.