Repubblica Democratica del Congo: rapporto di Amnesty

14 Dicembre 2008

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Tra novembre e l’inizio di dicembre, una delegazione di Amnesty International ha svolto una missione di ricerca nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), visitando la provincia del Nord Kivu e i campi profughi situati lungo il confine con l’Uganda sud-occidentale.

I delegati di Amnesty International hanno svolto ricerche sulle violazioni dei diritti umani verificatesi nel corso del conflitto e hanno avuto colloqui con alti rappresentanti di tutte le parti coinvolte. In particolare, hanno incontrato esponenti di organizzazioni umanitarie, agenzie delle Nazioni Unite, comandanti delle forze di peacekeeping (tra cui il generale della Monuc, Bipin Rawat) e attivisti locali per i diritti umani. Inoltre, hanno incontrato o intervistato vittime e testimoni delle recenti violazioni dei diritti umani, il comandante delle forze armate regolari della provincia del Nord Kivu, generale Mayala, il capo dei ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), Laurent Nkunda, e comandanti delle milizie locali mayi-mayi.

Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani hanno inviato oggi una lettera aperta al Consiglio di sicurezza chiedendo il rafforzamento dell’embargo Onu sulle armi nell’Rdc. La lettera aperta evidenzia l’assenza di procedure con cui la Monuc possa verificare che le forniture militari provenienti da Sudan, Cina e altri paesi e destinate all’esercito regolare, siano utilizzate esclusivamente da quest’ultimo. Le organizzazioni per i diritti umani, inoltre, hanno sollecitato il Consiglio di sicurezza ad assistere il governo dell’Rdc nel compito di professionalizzare le proprie forze armate, evitare la dispersione delle forniture militari e porre fine all’impunità.

Conclusioni della missione di Amnesty International

Le informazioni di prima mano raccolte dalla missione di Amnesty International indicano che nella provincia del Nord Kivu sono in corso crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani. Esse comprendono:

1. Uccisioni illegali di civili, su scala quotidiana

Il 5 novembre a Kiwanja uomini armati del Cndp hanno ucciso decine di civili, prevalentemente di etnia nande e hutu, come rappresaglia per un precedente attacco portato contro la città da parte delle milizie mayi-mayi. Sempre a Kiwanja, il 28 novembre, sono state assassinate sette persone appartenenti al medesimo nucleo familiare.

2. Violenza sessuale

È un fenomeno diffuso che chiama in causa sia le forze governative che i gruppi armati. Uno specialista che cura le sopravvissute allo stupro ha descritto questa come una pratica ‘istituzionalizzata’ tra le forze armate. Le donne stuprate vengono talvolta minacciate di morte se cercheranno assistenza medica. Sia i mayi-mayi che le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr) sequestrano e violentano donne e bambine. Amnesty International ha riscontrato una dimensione etnica dello stupro (che colpisce, cioè, le donne e le bambine della comunità percepita come ‘opposta’), mentre in ulteriori casi è stato utilizzato come forma di punizione o di rappresaglia. Il fatto che le forze armate regolari e i comandanti dei gruppi armati quasi non prendano alcuna misura per prevenire e punire gli stupri indica che questo crimine viene condonato e implicitamente incoraggiato.

3. Bambini soldato

C’è stata una ripresa dell’arruolamento o del ri-arruolamento dei bambini da parte dei gruppi armati. Molti di essi hanno cercato di nascondersi per evitare il sequestro e il reclutamento. I bambini costituiscono tra il 50 e il 60 per cento dei rifugiati e degli sfollati.

4. Minacce ai difensori dei diritti umani

Molti attivisti per i diritti umani, giornalisti e operatori sanitari continuano a ricevere minacce da parte delle forze armate. Alcuni di essi sono stati costretti a lasciare il paese o a entrare in clandestinità.

5. Situazione umanitaria

La situazione resta disperata per decine di migliaia di sfollati nelle zone di Masisi, Lubero e Rutshuru, dove a causa della violenza in corso gli aiuti umanitari devono ancora arrivare. Anche nei campi profughi nei pressi di Goma, dove gli aiuti sono arrivati, molte persone vivono nel terrore e la protezione fisica è assai scarsa. Vi sono regolari denunce di stupri, saccheggi e sparatorie, spesso ad opera delle forze governative.

A novembre, gli organismi umanitari avevano stimato che circa il 70 per cento della popolazione del Nord Kivu (su un totale di cinque milioni di persone) risultava sfollato o affluito all’interno di campi profughi. Secondo la Monuc, un abitante su quattro della provincia (circa 1.350.000 persone) è stato registrato come profugo. La situazione dei campi profughi e la fornitura degli aiuti variano in base al controllo esercitato sulla zona dai gruppi armati; alcuni campi sono stati distrutti.

6. Esercito regolare

Le forze armate regolari (Fardc) sono le prime responsabili dell’integrità territoriale e della sicurezza ma continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani, come stupri e saccheggi. La disciplina è completamente assente in alcune zone del Nord Kivu, specialmente intorno a Kanyabayonga, dove i soldati si sono dati a prolungati saccheggi, compiendo stupri e uccisioni. Le Fardc sono un amalgama tra le forze del precedente governo e unità di gruppi armati di opposizione. Sono scarsamente addestrate e lacerate da preesistenti lealtà etniche e politiche. Grandi quantità di armi delle Fardc sono finite nelle mani dei gruppi armati.

Al termine della missione, Amnesty International ha ribadito la necessità urgente di un’efficace protezione della popolazione civile del Nord Kivu. Questa al momento risulta l’eccezione piuttosto che la regola, dato che molte comunità vivono ancora nel terrore o si danno alla fuga, nell’assenza di qualsiasi forma visibile di protezione da parte della Monuc. La Monuc, a sua volta, attende ancora l’arrivo dei 3000 peacekeeper aggiuntivi, disposti dal Consiglio di Sicurezza a novembre. Le Nazioni Unite hanno espresso l’auspicio che questa forza possa stabilizzare la regione mentre si svolgono i negoziati politici. Tuttavia, il mandato e la zona di dispiegamento della forza aggiuntiva rimangono ancora da chiarire.

Raccomandazioni di Amnesty International

Il rafforzamento della Monuc è imperativo e urgente. Ogni giorno di ritardo costa vite umane. Lasciare che migliaia di persone si diano alla fuga senza protezione o che le donne e le ragazze nei campi profughi siano esposte alla violenza sessuale è inaccettabile. La Monuc deve diventare più attiva e visibile, soprattutto lungo le strade principali del Nord Kivu, e mantenere una presenza stabile presso le barriere organizzate dalle Fardc e dai gruppi armati lungo quelle vie di comunicazione. Inoltre, deve svolgere pattugliamento all’interno e all’esterno dei campi profughi, soprattutto di notte, così come in modo più ampio di giorno, quando i profughi lasciano i campi per cercare cibo e legna.

Occorre rinnovare la pressione sulla comunità internazionale, sui governi che hanno influenza regionale, sull’esercito nazionale e sui gruppi armati di opposizione affinché cessi il ciclo delle violazioni dei diritti umani. Questo obiettivo dev’essere centrale negli attuali e futuri sforzi diplomatici per fermare i combattimenti e lo stesso inviato speciale del Segretario generale dell’Onu, Olusegun Obasanjo, dovrà tenerne conto nella sua mediazione.

La mediazione in corso dovrà anche proporre e gettare le fondamenta per una soluzione a lungo termine delle cause del conflitto, che preveda pertanto:

la fine della presenza dell’Fdlr e di altri gruppi armati stranieri nell’est dell’Rdc;
la fine della proliferazione delle armi e uno stretto controllo sulle forniture di armi in tutto il territorio;
una piena riforma dell’esercito, per renderlo capace di proteggere tutte le comunità dell’est del paese in modo neutrale e nel pieno rispetto dei diritti umani. Gli appartenenti alle forze armate sospettati di crimini di guerra o di altre gravi violazioni dei diritti umani dovranno essere immediatamente rimossi da ogni posizione di comando nell’esercito e nelle altre forze di sicurezza;
la fine dell’impunità e lo sviluppo di meccanismi nazionali di giustizia con lo specifico mandato di indagare e svolgere processi sulle violazioni dei diritti umani commesse nell’Rdc a partire dal 1994.

FINE DEL COMUNICATO                                                               Roma, 15 dicembre 2008

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