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I governi europei stanno aumentando i rimpatri forzati di richiedenti asilo in Afghanistan: migliaia di persone, in spregio alle norme del diritto internazionale, sono costrette a tornare esattamente nei luoghi da cui erano fuggite.
I nostri ricercatori hanno documentato in un rapporto presentato il 5 ottobre le testimonianze di diverse famiglie che, in modo angosciato, hanno raccontato l’orrore in cui sono finite dopo essere state rimpatriate dall’Europa.
Persone che hanno perso i loro cari, che sono sopravvissute per miracolo a un attentato o che vivono nel costante timore di essere perseguitate. I rimpatri forzati hanno riguardato anche minori non accompagnati e minorenni diventati adulti quando sono arrivati nel continente europeo. Diverse persone hanno raccontato di essere state portate in zone dell’Afghanistan in cui non erano mai state.
Storie orribili di afgani respinti da Germania, Norvegia, Olanda e Svezia e che sono stati uccisi, sono rimasti feriti in attentati o sono costretti a vivere nella costante paura di essere perseguitati a causa del loro orientamento sessuale o della loro conversione al Cristianesimo.
Secondo dati ufficiali dell’Unione europea, tra il 2015 e il 2016 il numero degli afgani rimpatriati dagli stati membri è quasi triplicato: da 3.290 a 9.460. Questo aumento corrisponde a un marcato calo delle domande d’asilo accolte: dal 68% del settembre 2015 al 33% del dicembre 2016.
Nello stesso periodo, in diverse zone dell’Afghanistan sono aumentati gli attacchi contro i civili, la maggior parte dei quali rivendicati da gruppi armati tra cui i talebani e lo Stato islamico. Secondo la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) nel 2016 sono state uccise o ferite 11.418 persone. Nei soli primi sei mesi del 2017 le vittime civili documentate da Unama sono state 5.423.
Il 31 maggio 2017, in uno dei peggiori attentati mai registrati a Kabul, rivolto contro alcune ambasciate europee della capitale, sono state uccise almeno 150 persone e i feriti sono stati il doppio.
Tutt’altro che ignari rispetto alla situazione pericolosa in Afghanistan, i governi europei l’hanno infatti riconosciuta all’atto della firma del “Joint Way Forward“, l’accordo tra Unione europea e le autorità di Kabul per il rimpatrio dei richiedenti asilo afgani.
In un documento riservato diventato pubblico, le agenzie europee avevano ammesso “il peggioramento della sicurezza e le minacce cui vanno incontro le persone“, così come “i livelli record di attacchi terroristici e di vittime civili“. Tuttavia, con spietatezza, hanno insistito sul fatto che “potrebbe essere necessario far tornare [in Afghanistan] oltre 80.000 persone nel breve periodo“.
Vi sono prove attendibili che la “necessità” sia stata espressa sotto forma di pressioni sul governo afgano. Ekil Hakimi, ministro delle Finanze, ha dichiarato al parlamento: “Se l’Afghanistan non collabora con gli stati membri dell’Unione europea nella crisi dei rifugiati, questo avrà un impatto negativo sull’ammontare degli aiuti destinati al nostro paese“.
Uno strumento di pressione confermato anche da una nostra fonte confidenziale afgana che ha definito “un calice di veleno” quello che il governo di Kabul è stato costretto a bere in cambio degli aiuti.
“Determinati ad aumentare il numero dei rimpatri, i governi europei stanno attuando una politica tanto sconsiderata quanto illegale. Cinicamente ciechi di fronte al livello record di violenza e all’evidenza che nessun luogo dell’Afghanistan è sicuro, mettono le persone in pericolo di subire rapimenti, torture, uccisioni e altri orrori“, ha dichiarato Anna Shea, ricercatrice di Amnesty International sui diritti dei migranti e dei rifugiati.
“Questi rimpatri violano in modo clamoroso il diritto internazionale e devono essere fermati immediatamente. Gli stessi stati europei che una volta si erano impegnati per migliorare il futuro degli afgani ora stanno demolendo le loro speranze abbandonandoli in un paese che da quando sono fuggiti è diventato ancora più pericoloso“, ha concluso.