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‘Sono i giornalisti a raccontare al mondo cosa accade a Mogadiscio. Questo è il motivo per cui vogliono azzittirci. Ho pensato che morirò facendo questo lavoro, ma anche quando sono spaventato non posso tacere, perché se lo facessi non potrei raccontare queste cose, nessuno proteggerebbe i civili. Noi siamo gli unici a poterlo fare.’ (Un giornalista di Mogadiscio, Somalia)
La Somalia è uno dei posti più pericolosi al mondo per un giornalista. In questo paese, tormentato da un sanguinoso e quasi ventennale conflitto, solo negli ultimi 18 mesi sono stati uccisi 10 giornalisti.
Essere giornalista in Somalia può significare rischiare la vita per fare informazione. È quanto è accaduto a Nur Muse Hussein, morto dopo essere stato raggiunto da colpi di arma da fuoco mentre riprendeva dei combattimenti, o a Said Tahlil Ahmed, assassinato perché la sua radio aveva dedicato troppo spazio alla nomina di un esponente del governo.
A Mogadiscio si può essere rapiti come Ahmed Omar Salihi, nelle mani del gruppo armato al-Shabab dal marzo 2010, costretti a lasciare una radio o un giornale o addirittura il paese perché la libera informazione non è ammessa da chi controlla il territorio, si deve temere per la propria incolumità perché cerca di informare la popolazione sulla violenza quotidiana che si abbatte sulla sua vita, in un conflitto così tanto pericoloso da impedire alla stampa internazionale di riferirne con regolarità.
Da anni Amnesty International denuncia il sistematico tentativo di soffocare il giornalismo indipendente. Un rapporto del 2008, ‘Somalia: giornalisti sotto attacco‘, documentava intimidazioni, attacchi, minacce e uccisioni da parte dei gruppi armati e delle forze governative allo scopo di controllare e manipolare la diffusione di notizie sul conflitto.
Nel recente rapporto ‘Notizie difficili: le vite dei giornalisti in pericolo in Somalia‘, Amnesty International ha raccontato le storie di chi ha perso la vita per garantire il diritto all’informazione e denunciato la grave e costante minaccia rappresentata dai gruppi armati ma anche il giro di vite del governo sulla stampa con una vera e propria campagna di persecuzioni e intimidazioni che, da giugno 2010, ha portato ad arresti e interrogatori di diversi giornalisti.
Amnesty International chiede al governo e ai gruppi armati d’opposizione di rispettare la libertà di espressione e il diritto alla vita dei giornalisti somali, di indagare su attacchi e persecuzioni di giornalisti posti in essere da tutte le parti in conflitto, tanto dai gruppi armati d’opposizione quanto da forze governative.