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Mercoledì 21 febbraio avrà inizio il processo per l’uccisione di Mauro Guerra, avvenuta a Carmignano di Sant’Urbano il 29 luglio 2015. Imputato di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa è il maresciallo Marco Pegoraro, all’epoca comandante della stazione del paese.
Ricordiamo la sua vicenda. Mauro Guerra, 32 anni, un passato nei parà, una laurea in Economia e una passione per la pittura, risponde a una convocazione presso la locale caserma dei carabinieri. Dopo mezz’ora ne esce correndo verso la sua abitazione, a 50 metri di distanza.
Per tre ore, sotto il sole, all’esterno e poi all’interno della casa di famiglia, i carabinieri cercano di convincere Mauro a farsi ricoverare. C’è, dicono, una richiesta di Tso (trattamento sanitario obbligatorio) nei suoi confronti.
Alla fine Mauro finge di accettare il ricovero, si dirige verso l’ambulanza ma la supera e si mette a correre, passa davanti al bar e poi alla chiesa urlando che lo vogliono arrestare. Non è armato.
L’inseguimento prosegue in mezzo ai campi fino a quando un carabiniere lo blocca e gli ammanetta un polso. Mauro si divincola e colpisce il militare (sarà ricoverato in ospedale ma dopo 24 ore risulterà dimesso con una prognosi di 30 giorni). Un secondo carabiniere gli spara da distanza ravvicinata (non più di un metro e mezzo, stabilirà la perizia) e lo colpisce al petto.
Secondo i testimoni presenti, nonostante sul posto sia arrivata una seconda ambulanza e dall’alto sia pronto un elicottero per il soccorso, il corpo di Mauro Guerra rimane a terra per quasi tre ore. Nessuno verifica i parametri vitali, nessuno permette ai familiari, che pure erano presenti durante tutta l’operazione dei carabinieri, di avvicinarsi. Mauro muore.
Il processo dovrà chiarire l’origine di quella procedura di trattamento obbligatorio sanitario, non firmata dal sindaco e nei confronti di una persona sconosciuta ai servizi psichiatrici di zona; cosa successe nella mezz’ora che Mauro trascorse nella caserma dei carabinieri; perché era così necessario inseguirlo e arrestarlo, peraltro senza un mandato; se non vi fossero alternative che colpirlo a morte.
Amnesty International Italia è accanto alla famiglia Guerra e auspica che il processo fornisca quella verità e quella giustizia attese da due anni e mezzo.