Russia: ‘La tortura è una componente tradizionale della ‘prova”

26 Giugno 2013

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Le fotografie che ritraggono Rasul Kudaev prima e dopo essere stato fermato e trattenuto in detenzione dalla polizia in Russia sono così diverse che si stenta a credere che sia la stessa persona.

Questo è ciò che gli è successo dopo essere stato torturato perché confessasse un crimine che egli dice di non aver commesso.

Nell’ottobre 2005, Rasul Kudaev è stato arrestato perché sospettato di aver partecipato a un attentato terroristico contro un impianto del governo a Nal’čik, la capitale della Repubblica di Kabardino-Balkaria, nella regione russa del
Caucaso settentrionale.

Ma Rasul era già un uomo marchiato. Un anno e mezzo prima era stato liberato dal centro di detenzione statunitense di Guantánamo Bay a Cuba.

Nel 2002 era stato arrestato dagli Usa in Afghanistan e inviato a Guantánamo, dove è stato trattenuto senza essere accusato o sottoposto a processo.

Nel febbraio 2004 era stato rimpatriato in Russia e subito arrestato di nuovo.

Ma il fatto che Rasul sia stato torturato perché confessasse di aver commesso un crimine non è, purtroppo, inconsueto.

La situazione è particolarmente tragica nel Caucaso settentrionale, dove le forze di sicurezza raramente vengono chiamate a rispondere delle violazioni dei diritti umani.

La ricerca di Amnesty International ha rilevato che alle persone detenute per accuse relative al terrorismo, nelle prime ore di detenzione, talvolta anche nei primi giorni, viene sistematicamente negato l’accesso a un avvocato o a un rappresentante legale di loro scelta.

Spesso le autorità non informano le famiglie sul luogo in cui sono trattenuti i loro cari o addirittura non confermano che la persona sia stata ufficialmente presa in custodia.

Violazioni consuete

Il rischio di essere torturati è più alto nei primi giorni di detenzione.

Le vittime di tortura in detenzione limitatamente accedono a cure mediche; in alcuni casi vengono loro apertamente negate. Inoltre, la probabilità che vengano svolte indagini efficaci sui casi di tortura denunciati è praticamente inesistente.

I metodi di tortura riferiti con più frequenza dalle vittime come Rasul comprendono percosse, colpi con bottiglie di plastica piene d’acqua, calci di fucile, manganelli e bastoni; minacce di violenza sessuale, soffocamento ed elettroshock. Alcuni vengono tenuti in isolamento e bendati durante gli interrogatori.

Dopo l’arresto, Rasul è stato portato all’unità contro il crimine organizzato di Nal’čik e quindi trasferito in un centro per la detenzione preprocessuale, dove ha atteso che il suo caso venisse risolto. Le sue denunce di tortura, che sono corroborate da prove fotografiche, sono state respinte dal pubblico ministero.
Finora, le autorità russe non hanno presentato che poche prove concrete contro Rasul oltre alle ‘confessioni’ estorte con la tortura.

Alcune persone che avevano testimoniato contro Rasul durante l’indagine preliminare hanno ritrattato nel corso del processo, affermando che le testimonianze erano state loro estorte con coercizione.

Durante il processo, alcuni vicini di casa hanno testimoniato che il 13 ottobre 2005, il giorno dell’attentato a Nal’čik, avevano visto Rasul nel quartiere di Khasanya, in cui risiede, distante circa quattro miglia da Nal’čik. Altri testimoni hanno dichiarato che durante la giornata avevano parlato con Rasul al telefono poiché erano preoccupati per la sua salute.

Un lavoro impossibile

Batyr Akhilgov, un avvocato che ha lavorato su diversi casi di alto profilo nelle repubbliche caucasiche settentrionali di Inguscezia, Ossezia del Nord e Kabardino-Balkaria, ha assunto la difesa legale di Rasul nel dicembre 2011.

Sapeva che sarebbe stato un caso difficile. Questo perché, egli racconta, lavorare su temi che riguardano i diritti umani in Russia è un lavoro pericoloso.
Negli ultimi anni, Batyr stesso ha incontrato ostacoli. Dice che alcuni pubblici ministeri e un giudice lo hanno querelato per ragioni pretestuose e hanno chiesto che fosse sottoposto a procedimenti disciplinari.

Essi hanno sostenuto che Batyr era stato irrispettoso nei confronti della procura e hanno citato una sua dichiarazione in tribunale in cui aveva paragonato quell’udienza a quelle dell’epoca di Stalin.

Finora, nessuna querela ha portato a procedimenti disciplinari e può ancora esercitare la sua professione.
Batyr ritiene che le accuse siano un modo per vessarlo per la sua attività in favore dei diritti umani.

‘In Russia è difficile essere un avvocato per i diritti umani. Ansia, stress e timori per la propria sicurezza sono costanti. L’avvocato capisce che si oppone da solo all’attuale sistema di giustizia ‘medievale’, dove la presunzione di innocenza non esiste e la tortura è una componente tradizionale della ‘prova” – ha raccontato ad Amnesty International.

‘L’avvocato vive con la consapevolezza che i suoi telefoni sono sotto controllo, che può essere sottoposto a  sorveglianza, a pressioni o violenza. L’onestà e l’integrità mettono a repentaglio la sua sicurezza’.

‘Confessioni’ forzate

‘La giustizia moderna in Russia aderisce al principio che la ‘confessione è la regina delle prove’. Anche se tutte le altre prove contraddicono la confessione dell’accusato – proprio quella confessione ottenuta sotto tortura come è evidente a tutti – l’imputato sarà comunque condannato’-  ha affermato Batyr.

Un mese dopo l’arresto, Rasul Kudaev e il suo avvocato dell’epoca avevano depositato una denuncia per tortura e altri maltrattamenti subiti. In seguito il giudice ha rimosso dal caso l’avvocato per questioni procedurali.

Da allora, Rasul Kudaev e i suoi legali stanno lottando perché un tribunale prenda in considerazione la sua denuncia che, infine, ha sottoposto alla Corte europea dei diritti umani dopo non essere riuscito a ottenere giustizia in Russia.

Nel frattempo, nessuno è stato chiamato a rispondere degli abusi subiti da Rasul.

‘Il fatto che si ricorra abitualmente a tortura e altri maltrattamenti, insieme all’effettiva mancanza di indagini su tali abusi, rende quasi impossibile fare giustizia’ – ha dichiarato David Diaz-Jogeix, vicedirettore del programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International.

Quando si tratta di dire cosa si aspetta che succeda nel caso del suo cliente, Batyr è piuttosto chiaro.

‘Mi piacerebbe che le cose si sviluppassero rispettando la legge e la coscienza. Ma nella realtà di oggi questo è soltanto un sogno’.