Russia: oltre la cortina fumogena delle celebrazioni olimpiche

12 Febbraio 2014

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Il 7 febbraio 2014 prendono il via nella città russa di Soci le XXII Olimpiadi invernali. Questo documento descrive le principali preoccupazioni di Amnesty International per la situazione dei diritti umani nella Federazione Russa. Inoltre, questo documento è stato trasmesso al presidente del Consiglio Gianni Letta alla vigilia della sua partecipazione alla cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici invernali di Soci.

Panoramica generale

Dopo le proteste di massa svoltesi a Mosca e in altre città russe alla fine del 2011 e per tutto il 2012 contro i presunti brogli e violazioni nel corso delle elezioni parlamentari e presidenziali, il presidente Vladimir Putin ha firmato una lunga serie di leggi punitive che hanno colpito il dissenso, la libertà d’espressione e la libertà di manifestazione. Dalla fine del 2011, migliaia di persone sono state arrestate a Mosca e nei dintorni della capitale. Più di 100 proteste sono state vietate o sciolte dalla polizia. In tutto il paese, almeno 1000 Organizzazioni non governative (Ong) sono state prese di mira mediante ‘ispezioni’. Molte rischiano multe se non la chiusura ai sensi della nuova ‘legge sugli agenti stranieri’.

La legislazione discriminatoria adottata nel 2013 ha alimentato l’omofobia e ispirato un’ondata di atti di violenza da parte di ronde private. È aumentata anche la xenofobia, col risultato che negli ultimi anni le retate di massa contro i lavoratori migranti da parte della polizia sono diventate più frequenti. Anche la libertà d’espressione è finita sotto attacco. Dopo la nota esibizione delle Pussy Riot nella principale chiesa ortodossa di Mosca, è entrata in vigore una nuova legge sul reato di blasfemia. Un museo è stato costretto a chiudere a causa di una mostra di ritratti satirici del presidente Putin e di altri esponenti politici di primo piano. La legge d’amnistia del 18 dicembre 2013 e una grazia presidenziale hanno consentito la scarcerazione di sette prigionieri di coscienza ma altri rimangono in carcere.

Gli attacchi dei gruppi armati nel Caucaso del Nord e in altre zone del paese sono proseguiti, culminando nei due attentati suicidi che hanno colpito passeggeri di treni e di autobus a Volgograd, il 29 e il 30 dicembre 2013. La reazione delle forze di sicurezza continua a essere segnata da gravi violazioni dei diritti umani, tra cui sparizioni forzate, torture e possibili esecuzioni extragiudiziali.

Limitazioni al diritto alla libertà di manifestazione

Nel 2012, una serie di emendamenti alla legge federale sulle proteste in strada ha introdotto nuove limitazioni in materia di eventi pubblici e imposto ulteriori misure punitive agli organizzatori.

Si stima che nel 2012 quasi 4000 persone siano state arrestate al termine di circa 200 proteste a Mosca e nella regione di Mosca. Nel 2013 il numero delle manifestazioni è diminuito in modo significativo; ciò nonostante centinaia di persone sono state arrestate nel corso di decine di manifestazioni in tutto il paese. Il 2014 è iniziato allo stesso modo, con 28 persone arrestate il 6 gennaio (e più tardi rilasciate) durante una manifestazione pacifica di solidarietà con i ‘prigionieri di Bolotnaya’ nel centro di Mosca.

Gruppi di opposizione e movimenti sociali che cercavano di organizzare iniziative pubbliche si sono visti negare regolarmente e arbitrariamente il permesso di svolgerle nei luoghi e nelle date di loro scelta.

Iniziative pubbliche ‘non autorizzate’, del tutto pacifiche, spesso di poche persone, sono state costantemente sciolte dalla polizia, spesso con l’uso di una forza sproporzionata e non necessaria. Decine di persone arrestate hanno denunciato di essere state ferite dalle forze di polizia, riportando lesioni alla testa e fratture agli arti, ma le indagini – quando sono state aperte – si sono rivelate inefficaci.

I ‘prigionieri di Bolotnaya’

Il ricorso alla forza eccessiva e agli arresti arbitrari da parte della polizia ha accompagnato le proteste in tutto il paese. Il caso più evidente è quello della protesta di piazza Bolotnaya, il 6 maggio 2012. In quell’occasione vennero arrestati centinaia di manifestanti pacifici, 28 dei quali rinviati a processo con l’accusa di aver preso parte a ‘una rivolta di massa’. Nell’ottobre 2013 uno di loro, Mikhail Kosenko, è stato condannato – a tempo potenzialmente indefinito – al trattamento psichiatrico obbligatorio in un istituto per malattie mentali: una sentenza che ha ricordato l’uso punitivo della psichiatria nell’era sovietica.

Oltre a Kosenko, Amnesty International ha riconosciuto come prigionieri di coscienza altri nove ‘prigionieri di Bolotnaya’: Vladimir Akimenkov, Artiom Saviolov, Nikolay Kavkazsky, Stepan Zimin, Leonid Koviazin, Aleksey Polikhovic, Denis Lutskevich, Sergey Krivov e Yaroslav Belousov. 

La legge d’amnistia del 17 dicembre 2013 ha posto fine ai procedimenti penali nei confronti di cinque persone arrestate in piazza Bolotnaya, compresi tre prigionieri di coscienza: Vladimir Akimenkov, Leonid Koviazin e Nikolay Kavkazsky.

Amnesty International chiede il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli altri prigionieri di coscienza e l’annullamento delle accuse di ‘rivolta di massa’ nei confronti di tutte le persone sotto inchiesta.

Esponenti della comunità accademica

La repressione delle proteste pubbliche è diventata così ampia che, alla fine del settembre 2013, è stata sciolta e seguita da arresti arbitrari persino una manifestazione pacifica della comunità accademica di fronte alla Duma,convocata per esprimere contrarietà alla proposta di legge di riforma dell’Accademia russa delle scienze.

Il giro di vite contro le Organizzazioni non governative

Nel novembre 2012 il governo russo ha promulgato nuove norme sulle Organizzazioni non governative (Ong): le Ong che ricevono fondi dall’estero e sono coinvolte in quelle che vengono genericamente definite ‘attività politiche’ devono registrarsi come ‘agenti stranieri’. Gli obiettivi erano quelli di stigmatizzare e screditare le Ong impegnate nel campo dei diritti umani, fornire un pretesto legale per multare e anche costringere alla chiusura voci critiche, interrompere flussi di finanziamento spesso vitali.
Il mancato adempimento agli obblighi di legge comporta multe di oltre 15.000 dollari per le Ong e di 9000 dollari per i suoi direttori. Le Ong possono essere chiuse e i loro direttori imprigionati anche per due anni.

Nel luglio 2013 il procuratore generale ha stimato che, dall’introduzione della nuova legge, erano state ‘ispezionate’ un migliaio di Ong e che 200 di esse rientravano nella definizione di ‘agenti stranieri.

Golos (Voce) è stata la prima Ong a essere sottoposta a procedimento giudiziario per violazione della legge. La struttura è stata multata di 9.000 dollari, la sua direttrice Liliya Shibanova di 300 dollari. Le multe sono state pagate ma il 26 giugno il ministero della Giustizia ha ordinato la sospensione delle attività.

Golos ha deciso di sciogliersi. Nelle elezioni parlamentari del 2011 e in quelle presidenziali del 2012, aveva svolto un importante ruolo di monitoraggio e aveva denunciato brogli. Oltre 50 Ong hanno ricevuto avvertimenti ufficiali a registrarsi come ‘agenti stranieri’. Contro parecchie di esse sono iniziati procedimenti amministrativi che potranno dar luogo a multe o chiusure.

Cinque Ong sono state multate e due di esse hanno vinto in appello il ricorso. Una di esse, Bok O Bok, un film festival a tematica Lgbti, era stata costretta a chiudere prima che il suo ricorso fosse esaminato. Altre tre Ong sono state costrette alla chiusura.

Complessivamente, oltre 20 Ong sono state coinvolte in procedimenti giudiziari, compresi due importanti gruppi per i diritti umani, Memorial e Verdetto pubblico. Quest’ultima si occupa di assistenza e sostegno legale alle vittime di tortura. Sebbene in alcuni casi i giudici abbiano dato loro favore, i procuratori continuano a presentare denunce contro le Ong in tutto il territorio nazionale. L’Ong Centro Antidiscriminazione Memorial di San Pietroburgo ha deciso di chiudere le sue attività in Russia dopo che un tribunale le aveva ordinato di registrarsi come ‘agente straniero’.

Le Ong russe sono unite nell’opposizione alla legge e nella loro determinazione a non registrarsi come ‘agenti stranieri’.

Divieto di svolgere i Pride, legislazione omofoba e attacchi omofobi

Le autorità locali rifiutano sistematicamente di autorizzare gli attivisti del movimento Lgbti (persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) a svolgere eventi pubblici. Numerose Ong che si occupano dei diritti delle persone Lgbti sono classificabili, secondo le autorità, tra gli ‘agenti stranieri’. Oltre a Bok O Bok, anche Vyhod (Coming Out) è stata multata per violazione della legge. In appello la multa è stata annullata ma l’accanimento giudiziario nei suoi confronti prosegue.
Nel giugno 2013 è entrata in vigore una legge che vieta ‘la propaganda verso i minorenni delle relazioni sessuali non tradizionali’. Da allora, almeno tre persone sono state multate. Nel mese di dicembre un attivista Lgbti che aveva svolto picchetti solitari nella città di Kazan è stato incriminato per violazione della legge; ad accusarlo, un minorenne che in un’altra città della Russia aveva appreso la notizia della sua iniziativa.
Questa normativa palesemente discriminatoria limita il diritto alla libertà di espressione e di manifestazione delle persone Lgbti e ha fornito una legittimazione ufficiale all’omofobia, assai diffusa in Russia.

Nel 2013, in almeno sei occasioni, attivisti Lgbti sono stati violentemente attaccati durante manifestazioni pacifiche da gruppi di omofobi a Mosca e San Pietroburgo. Qui, il 3 novembre, due uomini dal volto coperto, impugnando pistole ad aria compressa e mazze da baseball, hanno assaltato la sede di LaSKy, un’Ong che fornisce assistenza alle persone Lgbti che hanno contratto l’Hiv. Uno dei due feriti ha perso la vista a un occhio. La procura ha aperto un’inchiesta per ‘teppismo’. Negli altri casi, nessuna azione adeguata è stata presa nei confronti degli aggressori nonostante video, foto e testimonianze a disposizione.

Parecchi attivisti Lgbti sono stati arrestati per aver violato le norme sulle riunioni pubbliche.

Il più recente evento pubblico organizzato dal movimento Lgbti a Mosca e ‘approvato’ dalle autorità locali risale al 2012. Anche in quell’occasione, tuttavia, l’iniziativa venne confinata in una zona periferica della capitale, molto lontana da dove gli organizzatori volevano svolgerla, e condotta sotto il più generico slogan della lotta alla discriminazione.

A San Pietroburgo, nel 2013, almeno tre iniziative del movimento Lgbti si sono svolte in un grande parco, destinato dalle autorità alle azioni pubbliche. Una di esse, il 6 settembre, si è potuta svolgere tranquillamente grazie alla presenza della stampa internazionale che era in città per il summit dei G20 mentre le altre due, a giugno e ottobre, hanno dato luogo ad arresti di massa. A ottobre, la polizia non ha protetto adeguatamente gli attivisti Lgbti dalle violenze dei controdimostranti.

La vicenda delle Pussy Riot, la legge contro la blasfemia e le limitazioni alle rappresentazioni artistiche

La legge entrata in vigore nel 2013, che rende reato penale le ‘azioni che offendono i sentimenti religiosi’, è una diretta conseguenza dell’esibizione del gruppo punk Pussy Riot nella principale chiesa ortodossa di Mosca, nel febbraio 2012.

Un mese dopo le tre Pussy Riot Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alekhina ed Ekaterina Samutsevich vennero arrestate e incriminate per ‘teppismo’ motivato da ‘odio religioso’. Dopo alcuni mesi di carcere preventivo, ad agosto vennero condannate a due anni di carcere da scontare in una colonia penale. A ottobre, Ekaterina Samutsevich venne rimessa in libertà condizionata.

Nel dicembre 2013 le altre due Pussy Riot sono tornate in libertà a seguito della legge d’amnistia. Pur considerandolo un provvedimento positivo, Amnesty International ha sottolineato che le Pussy Riot non avrebbero mai dovuto essere arrestate, incriminate e condannate e che dovrebbero essere definitivamente assolte da ogni accusa e risarcite per il periodo di tempo trascorso in carcere.

Persone che prendevano parte in Russia alla campagna in favore delle Pussy Riot sono state perseguitate dalle autorità. Il 9 settembre 2013 un tribunale di Novosibirsk ha vietato la diffusione de ‘L’icona delle Pussy Riot’, un poster che ritraeva una donna col volto coperto da un passamontagna colorato, un’aureola e un bambino in braccio. L’immagine è stata definita ‘un’offesa ai sentimenti religiosi’ e il suo autore, l’artista Artiom Loskutov, è stato multato di 30 dollari. L’Ufficio del procuratore generale ha minacciato una serie di siti che avevano ripreso l’immagine. La nota agenzia d’informazione Grani.ru è stata obbligata a rimuovere l’immagine, pena una multa. Ha fatto ricorso.

Dopo la condanna delle Pussy Riot, su richiesta dell’Ufficio del procuratore generale un tribunale di Mosca ha stabilito che le canzoni e i video del gruppo erano ‘estremiste’ e dovevano essere rimosse dai siti Internet.

Nel dicembre 2013, l’Ufficio del sindaco di Mosca ha proibito l’anteprima del film ‘Pussy Riot: A Punk Prayer’ e un dibattito con un’esponente del gruppo in programma in un teatro della capitale. Secondo le autorità locali, il teatro in questione era affiliato allo stato e non doveva avere nulla a che fare con ‘persone controverse le cui attività sono basate sulla provocazione nei confronti della società’.

Alla fine di agosto 2013, il Museo del potere è stato chiuso dopo l’intervento della polizia, che aveva sequestrato un ritratto del presidente Putin e del primo ministro Medvedev in abiti femminili sostenendo che quel genere di satira aveva infranto la legge, peraltro non specificando quale. In quell’occasione sono stati sequestrati altri ritratti satirici di esponenti politici del presente e del passato. In tutto il paese sono stati proibiti eventi artistici giudicati controversi dalle autorità locali.

In vista delle Olimpiadi di Soci

Il 23 agosto 2013 è entrato in vigore un decreto presidenziale contenente un pacchetto di misure di sicurezza, tra cui il divieto di svolgere incontri, raduni, picchetti e manifestazioni in una vasta area di Soci e dei dintorni. All’inizio del 2014, il presidente Putin ha modificato il decreto, rendendo possibili azioni pubbliche e proteste in aree a ciò destinate se approvate dall’amministrazione locale, dal ministero dell’Interno e dai servizi di sicurezza federali. A dicembre è emerso che l’unico luogo autorizzato sarebbe un parco desolato in una zona periferica di Soci.

Sebbene le limitazioni alle proteste politiche in occasione delle Olimpiadi siano previste dalla Carta olimpica, Amnesty International teme che quelle introdotte in questa occasione vadano al di là del minimo richiesto e possano essere usate in modo esteso per limitare le proteste all’interno della città di Soci.

Tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2013, due giornalisti norvegesi che si stavano accingendo a realizzare un servizio sulla preparazione delle Olimpiadi di Soci sono stati arrestati, interrogati e minacciati di finire in carcere. È stato chiesto loro di rendere noti i loro programmi, le loro fonti, alcuni aspetti della vita privata, il curriculum educativo e la fede religiosa ed è stato loro impedito di contattare l’ambasciata norvegese a Mosca.
Il 3 febbraio 2014 Evgeny Vitishko è stato condannato a 15 giorni di detenzione amministrativa per aver proferito ingiurie alla fermata di un autobus della città di Tuapse, gesto considerato tra gli ‘atti minori di teppismo’. Vitishko e i suoi colleghi ambientalisti sono molto attivi nel denunciare la deforestazione, le costruzioni e le recinzioni illegali nella foresta protetta dell’area di Soci. Una prima condanna, nel 2012, è stata sospesa. Lo scorso dicembre, il tribunale di Tuapse lo ha condannato a tre anni per aver violato il divieto di essere presente in luoghi pubblici collegato alla sospensione della pena. Il processo d’appello dovrebbe svolgersi il 22 febbraio, ma sul sito del tribunale non si trova più alcuna informazione.

Nel Caucaso del Nord, numerose operazioni di sicurezza sono state caratterizzate da sparizioni forzate, arresti illegali, detenzioni incommunicado di presunti appartenenti a gruppi armati e, infine, esecuzioni extragiudiziali. La tortura e gli altri maltrattamenti sono ampiamente denunciati in tutta la Russia ma sono all’ordine del giorno soprattutto nel contesto delle indagini nei confronti di presunti criminali nel Caucaso del Nord.