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Amnesty International ha sollecitato il governo della Turchia a interrompere la spirale di violenza che si è innescata nel sud-est del paese, a maggioranza curda, dove 19 persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite nel corso delle proteste contro l’avanzata dello Stato islamico verso il confine tra Siria e Turchia.
L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto al governo turco di agire per calmare gli animi, con fermezza ma nel rispetto dei diritti umani, e di avviare un’inchiesta sulle uccisioni e i ferimenti durante le proteste.
I manifestanti accusano il governo turco di non aver fatto nulla per impedire l’avanzata dello Stato islamico sulla città di Kobani, nel nord della Siria, e le uccisioni che il gruppo armato islamista ha compiuto nella città. Kobani, sotto assedio sin dal luglio 2013 e protetta dalle Unità per la difesa del popolo curdo (Ypg) , è stata attaccata dallo Stato islamico nel settembre 2014. Negli ultimi due mesi, oltre 200.000 rifugiati curdi sono entrati in Turchia da Kobani, dove si trovano attualmente ancora 5000 civili.
A Varto, nella provincia di Muṣ, il 25enne Hakan Buksur è stato ucciso da un proiettile esploso da un agente di polizia che stava fronteggiando un lancio di sassi da parte dei manifestanti.
Almeno altre 18 persone sono morte in altre zone del sud-est turco nel corso di violenti scontri tra i manifestanti curdi e simpatizzanti dello Stato islamico. Le proteste hanno interessato anche le tre principali città turche, Istanbul, Ankara e Smirne.
Amnesty International ha sollecitato le autorità turche a tenere aperto il confine ai rifugiati provenienti dalla Siria, azione tanto più necessaria a seguito delle notizie secondo cui lo Stato islamico starebbe cercando di chiudere le vie di fuga da Kobani verso la Turchia.