‘Sentivamo solo campane della chiesa e le urla dei prigionieri’

3 Settembre 2013

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(4 settembre 2013)

L’11 settembre 2013 saranno trascorsi 40 anni dal sanguinoso colpo di stato diretto dal generale Pinochet. Sotto il suo governo militare, le forze armate e di sicurezza cilene uccisero o fecero sparire oltre 3000 persone. Migliaia di persone furono costrette all’esilio. Approfondisci
 
Leggi le storie di:
– Isabel Allende, scrittrice cilena

Lelia Pérez aveva 16 anni quando venne arrestata per la prima volta dai servizi di sicurezza. Divenne la cavia dei soldati, che la usavano per esercitarsi alla tortura. Alla fine del 1976,  fu costretta a lasciare il Cile.
 
– Julio Etchart, fotografo e l’ex giornalista esperto di America Latina Hugh O’Shaughnessy hanno rilasciato un’intervista in cui discutono del lavoro di Julio e dei diritti umani durante la dittatura di Pinochet.
 
Victor Hormazabal, esponente del Partito Socialista e responsabile del sindacato lovale dei lavoratori ospedalieri, venne arrestato e torturato. Fuggì dalla camera della morte e della tortura grazie all’intervento dell’ambasciatore norvegese Frode Nilsen.
 
Roger Plant subito dopo il colpo di stato si recò in Cile per documentare gli arresti arbitrari, le torture e le sparizioni.
 
José Zalaquett, avvocato e attivista per i diritti umani cileno costretto ad andare in esilio.

Gloria Elgueta, sorella di Martin arrestato dalla polizia politica di Pinochet e portato nel famigerato centro di tortura di Londra 38

Non passa mai giorno senza che le sculture di sabbia di una spiaggia uruguayana, del deserto cileno di Atacama o di Venezia siano viste da turisti e persone del luogo, che si accalcano costantemente attorno ad esse, le osservano da ogni angolatura e scattano fotografie.

In Uruguay, la scultura è così famosa che è diventata un simbolo di Punta del Este. Paradossalmente, molte persone non conoscono l’incredibile storia del suo creatore.

Quasi un decennio prima che venisse tolto il telo alla sua scultura, il professore d’Arte cileno  Mario Irrázabal stava lavorando nel suo studio della capitale Santiago. Dalla sua finestra aveva assistito al colpo di stato di Augusto Pinochet, un evento tragico che avrebbe cambiato la sua vita e il suo paese per sempre.

Vide l’orizzonte di Santiago coperto dal fumo sottile che si alzava dal bombardamento del palazzo presidenziale, l’inizio del regime militare.

La vita cambiò rapidamente, così tanto da riportare Mario indietro nel tempo a Berlino, dove aveva vissuto tra il 1967 e il 1968.

‘Non sapevo cosa sarebbe successo, ma sembrava di stare in guerra’.

Nei giorni che seguirono al golpe, molte famiglie si disfecero di qualsiasi cosa che potesse identificarli con persone contrarie alle idee politiche di Pinochet.

‘Cominciarono a cercare la gente. Non avevamo informazioni, la paura era enorme. Non sapevi cosa bruciare o nascondere’.

Le idee politiche e le attività di Mario non erano passate inosservate. Pochi giorni dopo il colpo di stato, alle tre di notte, la polizia bussò alla porta della sede del vicariato dove suo fratello, un sacerdote, gli aveva dato ospitalità.

I poliziotti interrogarono Mario e i sacerdoti presenti, accusandoli di sostenere le azioni della sinistra. Alla fine, portarono via solo Mario, temendo forse la reazione della Chiesa cattolica se avessero preso di mira anche i sacerdoti.

Trascorsero tre giorni prima che Mario capisse dove era stato portato. Sempre bendato, senza cibo, a volte era insieme ad altri prigionieri, altre volte da solo appoggiato contro la parete di un gabinetto. Dopo tre giorni, iniziò ad avere le allucinazioni.

Nei momenti di lucidità, cercava di catturare da dietro le bende qualsiasi particolare: un mezzo di pavimento, una decorazione su una parete, qualsiasi cosa potesse fargli capire dove si trovasse.

‘Era il disperato tentativo di trattenere qualcosa di reale, di concreto’.

Ma il peggio non era tanto non sapere dove fosse, quando la minaccia di essere picchiato per aver sbirciato qualcosa. La cosa peggiore era l’attesa della tortura.

‘Stavi lì ad aspettare. Passavi un’eternità di tempo, insieme agli altri in una stanza, bendati. Poi, improvvisamente, chiamavano qualcuno. Dopo un po’ tornava a pezzi, distrutto’.

‘La più grande tortura ti capitava quando trovavano un nome o un numero e allora ti rendevi conto che avevi consegnato quella persona nelle loro mani. Era la cosa peggiore per me’.

Dopo il suo rilascio, Mario si rese conto che era stato detenuto a Londra 38, un antico palazzo coloniale nel centro di Santiago, da cui si potevano sentire solo le campane delle chiese e le urla dei prigionieri.

Cinque giorni dopo l’arresto, senza un preavviso né una spiegazione, la polizia caricò Mario e altri prigionieri su un furgone. ‘Sembrò che durasse tutto il giorno… Ascoltavo i rumori del traffico e la voce della gente. Per la prima volta capii che la vita andava avanti’.

Il furgone arrivò allo Stadio Cile, lo stadio nazionale dove 500 attivisti venivano trattenuti e torturati.
Le guardie consegnavano tavolette di cioccolato alle persone costrette a firmare dichiarazioni secondo le quali non avevano subito maltrattamenti. Mario finse di sentirsi male e di non capire cosa c’era scritto, pur di non firmare. Di lì a poco, grazie a un monsignore e a un avvocato per i diritti umani, fu rilasciato.

‘Quando mi liberarono fu un’enorme emozione. Sono molto grato a queste persone’.

Mario venne posto agli arresti domiciliari, dove maturò un grande bisogno di raccontare i trattamenti che aveva subito in prigione.

Nei decenni successivi, Mario ha tradotto la sua esperienza in opere d’arte. Usa materiali come il metallo per descrivere la sua vita dal tempi della Guerra fredda di Berlino fino alle torture in un dei più famigerati centri di detenzione del suo paese natio.

I suoi disegni sono pieni delle memorie del carcere: figure scure, alcune con graffi bianchi, altre con le mani legate, altre ancora bendate.

‘Cerco di mostrare cosa provata la società cilena in quei giorni’.

Anche oggi, Mario è braccato dal suo passato. Molti dei responsabili degli arresti illegali e delle torture non sono stati portati di fronte alla giustizia.

‘Ogni volta che sento dei colpi alla porta, mi vengono le fitte allo stomaco. Sono sicuro che stanno venendo di nuovo a prendermi’.