Un giorno qualcuno dovrà spiegarmi perché sto subendo tutto questo

24 Aprile 2018

© Hussein Tallal

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Stavolta hanno fatto sul serio, 10 persone a ispezionare una cella di quattro metri per tre! Quando rientro in cella, è tutto sottosopra. I nostri oggetti personali buttati a terra alla rinfusa, i nostri vestiti umiliati come i loro proprietari. Non faccio che chiedermi: perché?“.

Lo scrive in un lungo sfogo il fotografo Mahmoud Abu Zeid, noto anche come Shawkan, rinchiuso nelle terribili carceri egiziane dal 14 agosto 2013. Quasi cinque anni di prigionia per un ragazzo arrestato esclusivamente per aver fatto il suo lavoro.

Al momento dell’arresto, Shawkan stava seguendo, per l’agenzia britannica Dimotix, il sit-in dei sostenitori dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi nelle vicinanze della moschea Rabaa al-Adawiya, a est del Cairo. Durante il violento sgombero, le forze di sicurezza egiziane uccisero oltre 600 manifestanti.

Nel trasferimento alla prigione di Abu Zaabal, è rimasto chiuso in un furgone parcheggiato sotto il sole, con una temperatura esterna di oltre 30°C, senza acqua, cibo e ventilazione.

Ma che vogliono da me? Perché tutta questa oppressione e persecuzione? Non è ancora abbastanza?”.

Shawkan in prigione è assalito da mille dubbi, come farebbe chiunque quando, da un giorno all’altro, si vede privato – senza motivo – della cosa più cara: la libertà.

Oltre la libertà, Shawkan ha evidenti problemi di salute: prima del suo arresto gli è stata diagnosticata l’epatite C e, in carcere, senza accesso alle cure, la sua condizione è peggiorata rapidamente.

In questi anni il fotoreporter non ha neanche potuto contare sull’affetto dei suoi genitori, tenuti debitamente a distanza.

Non sappiamo ancora quanti rinvii saranno dati all’udienza che lo vede protagonista, ma un’attesa di questo tipo può logorare anche la mente più equilibrata e forte.

Perché?

Non è abbastanza aver trascorso 1000 giorni in una detenzione ingiusta sulla base di false accuse?”

Perché impediscono ai miei anziani genitori di vedermi dopo aver fatto un viaggio di quasi un giorno e mezzo per portarmi cose di cui avevo bisogno?

Perché 10 persone devono ispezionare per due ore una cella grande come una scatola di cerini?

Le domande di Shawkan esprimono tutta la sua disperazione.

Non sappiamo se abbia anche solo la possibilità di verificare tutto il calore delle persone che fuori da quella prigione lo supportano sui social e con le loro firme chiedono la sua scarcerazione.

Firma l’appello per liberare Shawkan

La storia di Shawkan

Mahmoud Abu Zeid si trova nel complesso penitenziario di Tora, a sud del Cairo. Il suo arresto è avvenuto il 14 agosto 2013: in questi anni le udienze del suo processo sono state rinviate per oltre 50 volte.

L’articolo 143 del codice di procedura penale fissa a due anni il periodo massimo di detenzione preventiva per i reati più gravi.

Nella prima udienza del processo a suo carico, svoltasi il 26 marzo 2016 e immediatamente aggiornata al 23 aprile, sono state elencate le imputazioni a carico di Mahmoud Abu Zeid, fino ad allora negate all’avvocato difensore, che dunque non ha potuto per oltre due anni e mezzo preparare una linea difensiva.

Le accuse contro di lui sono pretestuose e prive di fondamento: “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “resistenza a pubblico ufficiale”. L’accusa ha chiesto per lui la condanna a morte.

Shawkan ha denunciato di essere stato torturato più volte da quando è stato arrestato.

Il fotografo è stato recentemente premiato con il World Press Freedom dell’agenzia per la cultura delle Nazioni Unite.

L’UNESCO ha dichiarato che conferirà ufficialmente il suo premio a Shawkan il 3 maggio, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa.

Shawkan è un prigioniero di coscienza. Chiedi al presidente egiziano Al Sisi di annullare tutte le accuse contro di lui e di liberarlo immediatamente e incondizionatamente.

Firma per la libertà di Shawkan