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La Shell, multinazionale del settore petrolifero, citata in giudizio per complicità nell’arresto illegale, nella detenzione e nell’esecuzione di nove uomini, impiccati nel 1995 sotto la giunta militare nigeriana.
A portare davanti a un tribunale civile olandese il gigante petrolifero Esther Kiobel, vedova di Barinem Kiobel, impiccato il 10 novembre 1995. Insieme a lei altre tre vedove dei nove uomini impiccati in quello che è passato alla storia come il caso dei “nove ogoni”.
“Quelle esecuzioni scioccarono il mondo. Per oltre 20 anni la Shell ha negato la sua complicità ma adesso, grazie alla determinazione di Esther Kiobel e al suo coraggio di fronte a questo gigante Golia, le cose potrebbero cambiare”, ha dichiarato in una nota ufficiale Audrey Gaughran, Alta direttrice delle ricerche di Amnesty International.
“Questo è un momento spartiacque nella battaglia in salita di Esther Kiobel per la giustizia. La Shell deve rispondere per l’impronta di sangue lasciata in tutto l’Ogoniland”, ha sottolineato Gaughran.
I dettagli del ruolo avuto dalla Shell nelle nove esecuzioni del 1995 sono raccolti nel documento “Sul banco degli imputati” prodotto dai nostri ricercatori per sostenere gli avvocati impegnati nel processo.
Nel maggio 1994 quattro capi ogoni vennero assassinati. Senza alcuna prova, il governo accusò il Movimento per la sopravvivenza del popolo ogoni (Mosop), guidato da Ken Saro-Wiwa e arrestò decine e decine di persone, compresi il leader e Barinem Kiobel. Questi non era un membro del Mosop, ma un alto funzionario del governo che aveva criticato le operazioni militari nell’Ogoniland. Nel corso del processo, adducendo prove credibili, dichiarò che aveva cercato di impedire quei quattro omicidi.
Amnesty International ha sempre considerato Ken Saro-Wiwa e Barinem Kiobel prigionieri di coscienza, arrestati e poi uccisi a causa delle loro idee pacifiche.
L’impiccagione dei nove ogoni rappresentò il culmine della brutale campagna intrapresa dalla giunta militare nigeriana per ridurre al silenzio le proteste del Mosop. Il movimento sosteneva, tra le sue denunce, che altri si stavano arricchendo grazie al petrolio pompato dal sottosuolo mentre l’inquinamento causato dalle fuoriuscite e dal gas flaring aveva causato “il totale degrado dell’ambiente” e trasformato “la nostra terra in un disastro ecologico“. Nel gennaio 1993, il Mosop dichiarò che le attività della Shell nell’Ogoniland non erano più gradite.
La giunta militare reagì con la forza commettendo numerose gravi violazioni dei diritti umani tra cui uccisioni, torture e stupri.
Nell’anno delle impiccagioni la Shell era di gran lunga la più importante compagnia petrolifera operante in Nigeria, con una produzione di quasi un milione di barili al giorno, corrispondenti a quasi la metà della produzione quotidiana della Nigeria. Le vendite di petrolio all’estero rappresentavano il 96 per cento dei ricavi da esportazione del paese.
Poche settimane prima che i nove attivisti venissero arrestati, il presidente di Shell Nigeria aveva incontrato l’allora presidente nigeriano, il generale Sani Abacha, per parlare del “problema degli ogoni e di Ken Saro-Wiwa“. E non era neanche la prima volta che la Shell, nei suoi rapporti con le forze militari e di sicurezza nigeriane, si riferiva alle proteste nell’Ogoniland come a un “problema“. La Shell, inoltre, aveva evidenziato più volte alle autorità nigeriane l’impatto delle proteste del Mosop sull’economia.
“La Shell agì in modo irresponsabile nel sollevare il ‘problema’ di Ken Saro-Wiwa e del Mosop. Così facendo, aumentò notevolmente il rischio che subissero violazioni dei diritti umani. La Shell sapeva benissimo che il governo violava regolarmente i diritti delle persone legate al Mosop e aveva preso di mira Ken Saro-Wiwa”, ha aggiunto Gaughran.
Documenti interni della Shell rivelano che la compagnia petrolifera era a conoscenza dell’iniquità del processo ai danni dei nove ogoni e che era stata informata in anticipo che, con ogni probabilità, Ken Saro-Wiwa sarebbe stato giudicato colpevole.
Tuttavia, mantenne stretti rapporti col governo nigeriano e arrivò persino al punto di offrire aiuto a Ken Saro-Wiwa se egli avesse “ammorbidito le sue posizioni“.
L’offerta venne fatta al fratello di Ken Saro-Wiwa nell’agosto 1995, quando il leader ogoni era già in carcere.
La Shell ha sostenuto di non essersi messa a disposizione per favorire la liberazione di Ken Saro-Wiwa e che l’offerta fatto al fratello del leader Mosop aveva riguardato unicamente assistenza medica e umanitaria.
“Secondo la sua versione, la Shell dunque riteneva che Ken Saro-Wiwa – arrestato, picchiato, raggiunto da accuse false e di fronte a un processo iniquo organizzato per vederlo messo a morte – avrebbe potuto cambiare posizione sulla Shell in cambio di qualche aiuto umanitario. È una versione francamente implausibile e anche se fosse vera, rivelerebbe un livello di interesse egoistico aziendale che va oltre l’immaginazione”, ha commentato Gaughran.
Inoltre, Shell Nigeria ha replicato alla nostra lettera in cui si anticipavano i contenuti del nostro documento.
“Le denunce [contro la Shell] citate nella vostra lettera – si legge nella replica – sono false e prive di fondamento. [Shell Nigeria] non ha colluso con le autorità militari per sopprimere la rivolta e non ha incoraggiato né invocato in alcun modo atti di violenza in Nigeria. Abbiamo sempre negato queste accuse nel modo più forte possibile”.
Esther Kiobel è impegnata da oltre 20 anni a ottenere giustizia per la morte del marito. Dopo l’impiccagione avvenuta il 10 novembre del 1995 è fuggita in Benin. Nel 1998 ha ottenuto asilo politico negli Usa, dove tuttora vive.
Esther si è rivolta alla giustizia civile olandese insieme a Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula, i cui mariti vennero impiccati insieme a Barinem Kiobel. Le quattro donne chiedono un risarcimento per i danni causati dalle azioni illegali della Shell e scuse pubbliche per il ruolo avuto dalla compagnia petrolifera negli avvenimenti che portarono alla morte dei loro mariti.
“Esther Kiobel ha vissuto nell’ombra di questa ingiustizia per oltre 20 anni ma si è sempre opposta ai tentativi della Shell di zittirla. Oggi la sua voce si eleva a nome di così tante altre persone le cui vite sono state devastate dall’industria del petrolio in Nigeria”, ha dichiarato Channa Samkalden, avvocata di Esther Kiobel.
“La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Questo caso giudiziario potrebbe porre fine a decenni d’impunità della Shell, in cui nome è diventato sinonimo di come le grandi compagnie possano violare i diritti umani senza timore di subire ripercussioni”, ha proseguito Samkalden.
La prima denuncia di Esther Kiobel contro la Shell risale al 2002 e venne presentata a un tribunale di New York. Nel 2013 la Corte suprema federale, senza esaminare il merito della denuncia, stabilì che gli Usa non avevano giurisdizione sul caso.
“La relazione pericolosa tra la Shell e il governo nigeriano non è mai stata indagata adeguatamente. Decenni dopo quella terribile catena di eventi che portarono all’impiccagione dei nove ogoni, tante domande sulla Shell restano senza risposte”, ha sottolineato Gaughran.
“È il momento di accendere i riflettori su questo lato oscuro del passato della Shell. Niente potrà restituirci le vite perdute ma ora è in gioco la possibilità di dare il segnale che nessun’azienda, per quanto grande e potente, riuscirà a evadere la giustizia per sempre”, ha aggiunto Gaughran.
Il documento “Sul banco degli imputati“.