Siria, catastrofe umanitaria in vista se non verrà rinnovato l’ultimo corridoio umanitario

5 Luglio 2022

DELIL SOULEIMAN/AFP via Getty Images

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Il 10 luglio scadrà la risoluzione del Consiglio di sicurezza che consente alle Nazioni Unite di fornire aiuti umanitari ad almeno quattro milioni di persone, tra residenti e sfollati interni, nella Siria nordoccidentale.

Non è certo che la risoluzione sarà rinnovata. In caso di mancata proroga, sarebbe una catastrofe umanitaria: a causa degli ostacoli posti dal governo siriano all’accesso ai diritti economici e sociali, la popolazione dell’area interessata è completamente dipendente dagli aiuti internazionali.

Di quei quattro milioni, oltre un milione e mezzo vive in 1414 campi profughi e nel 58 per cento dei casi si tratta di bambini. Da sei anni vivono in tende minuscole che non isolano minimamente dal freddo e dal caldo. L’acqua, quando arriva, è meno della metà della quantità necessaria e solo il 40 per cento dei profughi ha a disposizione latrine funzionanti.

Da un lato, le violazioni dei diritti umani tuttora commesse dalle autorità siriane impediscono loro di tornare nei luoghi di origine, ma rimanere nei campi del nordovest del paese significa sopravvivere in condizioni insopportabili, in preda alle malattie e alla violenza di genere.

Da quando ha perso il controllo del nordovest del paese, il governo siriano ha tagliato le forniture di elettricità e acqua, ha ostacolato l’arrivo degli aiuti e ha attaccato strutture mediche, scuole e gli stessi campi profughi.

Per questo, forte anche di una propria ricerca condotta nella zona tra febbraio e maggio di quest’anno, Amnesty International ha sollecitato il Consiglio di sicurezza a prendere l’unica decisione possibile: rinnovare la risoluzione sugli aiuti umanitari.

Tra le tante testimonianze raccolte da Amnesty International nel corso della sua ricerca, ecco quella di di una donna che vive da tre anni in una tenda col marito e cinque figli:

“Abbiamo un unico spazio per il giorno e per la notte, facciamo tutto lì: dormiamo, cuciniamo, laviamo i vestiti, ci laviamo noi. Non c’è una porta solida. Abbiamo messo una tendina che tiriamo su per uscire e poi richiudiamo e viceversa. Può entrare chiunque. L’acqua manca costantemente. Le autobotti comunali sono vuote. Dobbiamo aspettare che arrivino quelli delle organizzazioni umanitarie a riempirle, due volte alla settimana.”.

L’inverno appena trascorso è stato più drammatico del solito, tra freddo intenso e smottamenti dovuti alle abbondanti piogge. Per ottenere un po’ di calore, all’interno delle tende veniva bruciato materiale infiammabile. Quest’anno, all’interno dei campi, vi sono stati 68 incendi.

La violenza di genere è diffusa per mille cause: le tende che non si chiudono, le latrine e le docce non separate per genere, prive di chiusura e situate in luoghi isolati e poco illuminati. Di notte, se non trovano chi le accompagni, le donne e le ragazze evitano di recarvisi.