Siria: da ‘i giorni della collera’ a un conflitto pieno di collera

13 Marzo 2013

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In nessun altro paese toccato dalla ‘primavera araba’ il costo umano è stato così alto come in Siria.

Galvanizzati dalla caduta dei regimi oppressivi di Tunisia ed Egitto, gli attivisti dell’opposizione siriana avviarono le prime manifestazioni all’inizio del 2011. La loro rivolta prese vigore nelle strade e sui social media e, nel marzo di quell’anno, si costituirono i Comitati di coordinamento locale della Siria. Il loro compito era organizzare proteste e condividere informazioni con altri attivisti e coi mezzi d’informazione, in Siria e all’estero.

Solo pochi mesi prima, molti attivisti pensavano che tutto questo sarebbe stato impossibile. ‘Chiunque faceva qualcosa, anche di piccolo, rischiava di sparire’ – ricorda Cilina Nasser, ricercatrice di Amnesty International sulla Siria.

Nondimeno, le fila degli attivisti per le riforme continuavano a ingrossarsi e i ‘giorni della collera’ iniziavano a sommarsi gli uni agli altri. Molti manifestanti neanche si conoscevano: si erano frequentati sui social media e si erano dati appuntamento alle moschee, l’unico luogo in cui potessero radunarsi gruppi di persone.

Il 18 marzo 2011, una trentina di persone si riunirono di fronte alla moschea di Homs. Alla fine della preghiera del venerdì, mentre gran parte dei fedeli si allontanava, iniziarono a cantare ‘Allah, Siria, libertà!’

In molti rimasero sconvolti: fino ad allora non si era mai vista una protesta del genere. Le forze di sicurezza intervennero subito, ma chi si trovava sul posto fece argine, consentendo ai manifestanti di fuggire prima di essere arrestati.

Il 17 aprile, la Festa dell’indipendenza, un altro sit-in convocato a Homs coinvolse un numero maggiore di persone. La protesta era pacifica ma le parole di sfida erano più incisive: si cantava per ‘la caduta del regime’ del presidente Bashar al-Assad.

Quel pomeriggio, le forze di sicurezza aprirono il fuoco contro i manifestanti, uccidendo nove persone. Una scena che sarebbe diventata ricorrente.

Una delle manifestazioni di protesta di Homs era dedicata alla popolazione di Dera’a, nel sud del paese. Lì, la rivolta era iniziata quando le forze di sicurezza avevano arrestato e torturato un gruppo di bambini che avevano scritto su un muro slogan contro il governo.

Situazioni del genere si replicarono in tutta la Siria nei mesi successivi. Il paese era sigillato ai giornalisti stranieri e alle organizzazioni per i diritti umani.

‘Non avere accesso al paese significava non conoscere cosa avevano in mente gli attivisti con cui parlavamo’ – ricorda Nasser. Ogni informazione che Amnesty International riceveva, doveva essere controllata: un compito difficile e che avrebbe richiesto sempre più tempo.

‘Andai in missione nel nord del Libano tra maggio e giugno, per preparare un rapporto. Molte testimonianze oculari attendibili si confermavano reciprocamente. Ma c’erano anche voci incontrollate e informazioni lacunose. Dovevamo distinguere tra ciò di cui avevamo le prove e il resto’.

Dopo una rigorosa verifica delle informazioni, Amnesty International arrivò alla conclusione che in Siria stavano avendo luogo crimini contro l’umanità. L’organizzazione per i diritti umani chiese alla comunità internazionale di agire per porvi fine. Da allora, ha costantemente continuato a chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di riferire la situazione della Siria alla Corte penale internazionale, di assicurare che i responsabili di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra venissero sottoposti a indagine e portati in giudizio.

Mentre le forze di sicurezza siriane ricorrevano sempre più spesso alla forza eccessiva contro manifestanti per lo più nonviolenti, iniziò a emergere l’opposizione armata. Dalla fine del 2011, alcuni oppositori iniziarono a compiere, con sempre maggiore frequenza, uccisioni per rappresaglia e attacchi armati contro le forze governative.

Man mano che prendevano il controllo di zone periferiche delle grandi città e delle aree rurali, i gruppi armati lanciavano attacchi sempre più impudenti. Da allora, le forze governative risposero con una repressione sempre più ampia e violenta, ricorrendo anche all’artiglieria pesante negli attacchi contro le zone controllate dall’opposizione.

Nell’aprile 2012 Donatella Rovera, Alta consulente sulle crisi di Amnesty International, riuscì a entrare in Siria per indagare sulle violazioni dei diritti umani nel nord del paese. Da allora, vi è tornata parecchie volte. ‘Le forze governative controllavano ancora le città e le principali arterie di comunicazione, mentre i gruppi dell’opposizione armata avevano assunto di fatto il controllo dei villaggi e delle vie di comunicazione secondarie’ – racconta. ‘L’esercito regolare aveva una forza d’attacco schiacciante, ma non poteva andare all’assalto di più centri controllati dall’opposizione nello stesso momento. Lanciavano ripetuti, brevi, assai intensi e brutali attacchi contro un villaggio e poi si spostavano per colpire altre aree’.

I gruppi armati di opposizione impararono presto a ‘danzare intorno’ alle forze governative. Queste reagirono con raid punitivi, per mesi e mesi, con conseguenze devastanti per i civili. Quando i soldati non riuscivano a trovare gli oppositori armati, si accanivano contro la popolazione locale. Esecuzioni extragiudiziali, detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni si fecero diffuse, così come la distruzione volontarie di abitazioni e beni personali.

‘In ogni villaggio, trovavo case e negozi distrutti dai soldati’  – racconta Rovera.

Mentre gli scontri armati diventavano più ricorrenti in alcune zone del paese, le manifestazioni pacifiche proseguivano altrove. ‘Alla fine del maggio 2012 ad Aleppo, la più grande città della Siria, vidi ogni giorno i soldati e le milizie filogovernative shabiha sparare munizioni letali contro persone disarmate, uccidendo e ferendo manifestanti e semplici passanti. Ad Aleppo, gli attivisti venivano arrestati e torturati, anche a morte in alcuni casi, e sparivano’.

Ad agosto l’aviazione siriana avviò un’incessante campagna di bombardamenti aerei, che è tuttora in corso. Non sono state risparmiate neanche le aree residenziali. Intere strade, interi quartieri, sono stati rasi al suolo. Questi attacchi hanno profondamente aumentato il numero dei civili uccisi, feriti e sfollati.

‘Città e villaggi dove avevano trovato riparo gli sfollati improvvisamente si svuotarono’  – racconta Rovera. Centinaia di migliaia di persone fuggirono nei campi profughi, già sovraffollati, di Libano, Turchia e Giordania. Un numero ancora maggiore si è disperso all’interno della Siria.

Gli attacchi aerei hanno spesso colpito ampi gruppi di civili, come persone in fila per acquistare il pane quando le forniture iniziavano a scarseggiare, oppure persone che si trovavano nelle vicinanze degli ospedali. L’ospedale Shifa di Aleppo è stato bombardato tante volte, fino a quando è stato messo fuori uso.

Da quando è iniziato il conflitto, la mancanza di accesso alle cure mediche è stata un grave problema. Le forze di sicurezza hanno arrestato e spesso torturato chiunque fosse ricoverato per ferite da arma da fuoco, accusandolo di ‘terrorismo’, un espressione che il regime siriano utilizza per definire sia i manifestanti pacifici che gli oppositori armati.

Il timore di subire la stessa sorte ha spinto molte persone a cercare cure mediche negli ospedali da campo improvvisati o presso le unità mediche mobili istituiti dagli attivisti dell’opposizione: medici, infermieri e studenti di Medicina hanno rischiato la loro vita per salvare quelle degli altri. Molti di loro sono stati arrestati e torturati, alcuni uccisi.

Le ricerche sul campo di Donatella Rovera hanno anche documentato l’uso delle bombe a grappolo, messe al bando a livello internazionale, in alcune aree della Siria. Il loro impiego è drammaticamente aumentato alla fine del 2012 e estese zone del paese sono piene di ordigni inesplosi, un lascito mortale per molti anni a venire.

Col divampare del conflitto, le forze governative e le milizie armate dallo stato hanno perso il monopolio delle violazioni dei diritti umani.

I gruppi dell’opposizione armata si sono resi, a loro volta, responsabili di gravi abusi, come le uccisioni sommarie e le torture ai danni di militari fatti prigionieri, di miliziani e di presunti informatori. Amnesty International continua a documentare possibili crimini di guerra commessi da ambo le parti.

‘Senza alcun dubbio, sono i civili a pagare il prezzo più alto. Perdono le loro vite, i loro familiari, i loro arti, le loro case, le loro proprietà, le loro attività commerciali’ – ha commentato Rovera. ‘Non vediamo all’orizzonte alcun segnale di cessazione della violenza. Al contrario, le tensioni settarie, etniche, ideologiche e religiose si sono acuite. In un contesto del genere, le violazioni dei diritti umani sono sempre più frequenti’.

Tutte le persone incontrate in Siria hanno manifestato indignazione per l’assenza di un’azione comune da parte della comunità internazionale per fermare le violazioni dei diritti umani, specialmente quando le paragonano alla risposta rapida fornita in altre situazioni. Quella della Libia è stata riferita alla Corte penale internazionale due settimane dopo lo svolgimento della prima manifestazione di protesta, nel febbraio 2011. Due anni dopo uno stillicidio quotidiano di uccisioni e innumerevoli altre violazioni dei diritti umani, la comunità internazionale non ha ancora trovato un accordo per riferire alla Corte la situazione della Siria. Amnesty International continua a fare pressioni su questo, nonché a chiedere l’immediata fine delle violazioni dei diritti umani in corso in tutto il paese.

‘Chiediamo a tutti gli stati che possono influenzare il governo di Damasco di premere perché cessino le terribili violazioni dei diritti umani a suo carico, così come chiediamo a tutti coloro che hanno influenza sui gruppi armati di spingerli a porre fine ai loro abusi’ – ha concluso Rovera.

Mentre il collerico conflitto della Siria prosegue, la mancanza d’azione della comunità internazionale ci sta dicendo, in modo inequivocabile, che chiamare a rispondere del loro operato i responsabili dei crimini di guerra non è una priorità. Questo è un pericoloso precedente. Amnesty International continuerà a chiedere un’azione concreta a livello internazionale per fermare le violazioni e chiamare tutti i responsabili a risponderne davanti alla giustizia.

Due anni di conflitto in Siria in cifre:

– oltre 60.000 persone uccise;
– oltre 700.000 rifugiati fuggiti in Giordania, Libano, Turchia, Iraq e nei paesi dell’Africa del Nord;
– almeno due milioni di profughi interni;
– oltre la metà dei rifugiati siriani in Giordania, Libano, Iraq ed Egitto sono bambini e un gruppi di rifugiati su cinque è diretto da una donna;
– circa 23.500 cittadini siriani hanno richiesto asilo politico nell’Unione europea tra aprile 2011 e ottobre 2012; di queste richieste, 15.000 sono state presentate in Germania e Svezia.

Siria, due anni dalla rivolta
l fiume di sangue di Aleppo

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