Siria, migliaia di vite in pericolo per il Covid-19. “Manca adeguata risposta alla pandemia”

12 Novembre 2020

Credit: Amnesty

Tempo di lettura stimato: 10'

Siria, migliaia di vite in pericolo per il Covid-19. Amnesty International: “Manca un’adeguata risposta alla pandemia”

Secondo Amnesty International il governo siriano, a otto mesi dalla diffusione della pandemia da Covid-19, non è ancora riuscito a proteggere in maniera adeguata la salute degli operatori sanitari, non ha messo in piedi una solida risposta alla diffusione della malattia e si rifiuta di fornire informazioni trasparenti e complete sulla presenza del Covid-19 nel paese.

I familiari dei pazienti contagiati, i sanitari e i lavoratori umanitari hanno riferito ad Amnesty International che gli ospedali pubblici hanno dovuto mandare via i malati a causa della mancanza di posti letto, di bombole di ossigeno e di ventilatori. Prese dalla disperazione, alcune persone sono state costrette a noleggiare bombole di ossigeno e ventilatori a prezzi esorbitanti. Migliaia sono le vite in pericolo, anche quelle degli operatori sanitari, per via dell’assenza di informazioni valide e trasparenti o della possibilità di testare l’infezione.

“Il fatiscente sistema sanitario siriano si trovava già prima della pandemia a un punto di rottura. Adesso, la mancanza di trasparenza sulla portata della diffusione del Covid-19 da parte del governo, la distribuzione inadeguata di dispositivi di protezione individuale e la mancanza di tamponi mette ancora più in pericolo i sanitari e la popolazione in generale”, ha dichiarato Diana Semaan, ricercatrice di Amnesty International sulla Siria.

“Il governo siriano deve garantire con urgenza che il personale sanitario che si occupa di pazienti contagiati dal Covid-19 sia adeguatamente fornito di dispositivi di protezione individuale e riceva la formazione necessaria per il loro utilizzo. Se il governo non ne ha la capacità, dovrebbe richiedere ulteriore assistenza alle organizzazioni sanitarie internazionali presenti nell’area sotto il proprio controllo”, ha proseguito Diana Semaan.

Sembra che i numeri relativi ai casi di Covid-19 diffusi dalle autorità siano notevolmente sottodimensionati. Il 22 marzo, il governo siriano ha dichiarato il primo caso di Covid-19. Al 10 novembre, il ministero della Salute ha riportato 6352 casi di Covid-19 e 325 decessi. Il 29 agosto, Ramesh Rajasingham, vicesegretario generale ad interim per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza, ha dichiarato al Consiglio di sicurezza Onu che “le notizie delle strutture sanitarie che si riempiono e dei numeri in aumento di morti e sepolture sembrano tutte portare a credere che i casi reali superino di gran lunga le cifre ufficiali”. Rajasingham ha aggiunto che non è stato possibile ricondurre i casi a un’origine certa, il che indica anche l’assenza di un sistema efficiente di tamponi e sorveglianza per tenere sotto controllo il diffondersi della malattia.

Tra agosto e ottobre, Amnesty International ha parlato con 16 tra medici, operatori umanitari e familiari di pazienti contagiati da Covid-19 a Damasco e Daraa, così come al di fuori del territorio del paese. Tutte le persone intervistate sostengono che la situazione è peggiorata rispetto a otto mesi fa.

Il ministero della Salute non pubblica informazioni su quanto gli operatori sanitari siano stati colpiti dal virus; le uniche informazioni disponibili sono quelle riportate dal ministero all’Onu. Fino a ottobre, era risultato positivo al Covid-19 un numero complessivo di 193 operatori sanitari ma prove suggeriscono che il numero potrebbe essere di gran lunga superiore, a causa della mancanza di tamponi. Sono undici i sanitari deceduti per il Covid-19, ma il sindacato dei medici siriano ha riportato almeno 61 sanitari deceduti per la malattia fino ad agosto 2020.

Un sistema sanitario fatiscente

La diffusione del Covid-19 ha aggiunto ulteriore pressione al sistema sanitario siriano, già decimato da quasi un decennio di conflitto. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, solo il 50 per cento degli ospedali in tutta la Siria funziona a pieno regime, il 25 per cento funziona parzialmente a causa di carenze di personale, attrezzature, farmaci o per danni agli edifici, mentre il restante 25 per cento non funziona affatto.

Sebbene l’Oms e altre organizzazioni umanitarie internazionali con sede a Damasco sostengano di aver fornito al governo siriano i dispositivi di protezione individuale, gli operatori umanitari hanno dichiarato ad Amnesty International che le autorità sono state estremamente lente, per ragioni ignote, nella loro distribuzione.

I familiari delle persone contagiate a Damasco hanno detto ad Amnesty International che le strutture private, nonostante forniscano un’assistenza medica migliore rispetto agli ospedali pubblici, hanno dovuto rifiutare i pazienti Covid-19 perché le autorità permettono solo agli ospedali pubblici di Damasco di occuparsi di tali malati.

Un medico ha riferito all’associazione che dopo che suo nonno aveva mostrato dei sintomi riconducibili al Covid-19 verso metà luglio, la famiglia l’aveva portato in due ospedali pubblici a Damasco ma non c’erano posti letto disponibili. È morto dopo due settimane. Il medico ha dichiarato:

“L’ospedale aveva solo eseguito il tampone e aveva detto alla mia famiglia che il nonno avrebbe avuto bisogno di una bombola di ossigeno. Sebbene con qualche difficoltà, siamo riusciti a noleggiare una bombola di ossigeno, ma dopo tre giorni è morto. La mia famiglia a stento è riuscita a pagare la bombola perché i prezzi hanno subito un notevole aumento da quando sempre più persone hanno bisogno di ossigeno e ventilatori”.

Mancanza di trasparenza e accesso ai tamponi

I tamponi sono fondamentali per comprendere la portata della diffusione e per indirizzare le scelte del governo sulla gestione della pandemia. Allo stesso modo, la pubblicazione dei dati è importantissima per informare e far comprendere alle persone la portata del contagio e i suoi effetti sulla società e sul settore sanitario. Eppure, i luoghi dove poter effettuare i tamponi in Siria sono ancora molto limitati. Secondo l’Onu, sono cinque i laboratori che lavorano i tamponi Covid-19 per 15 milioni di persone che vivono nell’area sotto il controllo del governo. Continuano a non esserci luoghi per effettuare il tampone a Daraa e nel nordest della Siria, dove gli indici di contagio sono notevolmente aumentati negli ultimi mesi.

A Daraa, gli abitanti e un medico hanno riferito ad Amnesty International che i tamponi sono stati resi disponibili a partire da giugno e bisognava poi aspettare fino a una settimana per i risultati perché dovevano essere tutti inviati per la lavorazione al Laboratorio centrale di sanità pubblica a Damasco. L’Onu ha riferito che si ritiene che i casi nel nordest siano molti di più rispetto a 4164, a causa di notevoli mancanze nella capacità di effettuare tamponi e localizzare i malati.

Il ministero della Salute pubblica quotidianamente un bollettino con i dati relativi al numero di casi confermati, morti e guarigioni; tuttavia, i dati non comprendono il numero di tamponi effettuati. I familiari delle persone contagiate, gli operatori umanitari e un medico nella città di Damasco hanno dichiarato ad Amnesty International che i tamponi sono disponibili solo per le persone che viaggiano all’estero.

Ad agosto, il ministero della Salute ha dichiarato che il governo non era in grado di fare tamponi pubblici a causa di “un ingiusto embargo economico imposto al paese, che aveva colpito il settore sanitario”. Un mese dopo, ha dichiarato che avrebbe distribuito 300 tamponi al giorno per chi doveva recarsi all’estero al costo di 51.000 lire siriane (circa 85 euro), quando lo stipendio medio mensile si aggira sulle 60.000 lire siriane.

Due operatori umanitari hanno dichiarato ad Amnesty International che la scarsa capacità del governo di testare i cittadini è dovuta alla mancanza di una politica governativa coerente nell’affrontare la pandemia, all’assenza di consapevolezza sull’importanza dei tamponi e agli ostacoli burocratici dovuti alla centralizzazione del processo decisionale.

Amnesty International chiede al governo siriano di intensificare la sua risposta sanitaria pubblica per garantire un accesso adeguato all’assistenza sanitaria e fornire i dispositivi di protezione agli operatori sanitari. Inoltre, ampliare e diffondere informazioni precise e aggiornate sulla diffusione del virus è fondamentale per affrontare in maniera efficace il Covid-19.