Preoccupazione di Amnesty International Italia per la situazione esplosiva nelle carceri italiane

24 Novembre 2020

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Amnesty International Italia esprime la sua profonda preoccupazione per la situazione nelle carceri italiane nel contesto del Covid-19, in cui ad una diffusione dilagante dei contagi tra persone detenute e personale penitenziario non corrisponde una riduzione consistente della presenza numerica negli istituti.

Secondo gli ultimi dati del Ministero della Giustizia, al 22 novembre 2020 erano 53.723 le persone effettivamente presenti in carcere, a fronte di una capienza regolamentare di 50.553 posti, ai quali vanno sottratti più di 3.000 posti non disponibili. Al 31 ottobre erano 33 i bambini con meno di tre anni presenti in carcere con le loro madri. La percentuale di affollamento è quindi ancora oggi superiore al 110% su scala nazionale, con picchi in alcuni istituti italiani di più del 170%.

Allo scoppio della pandemia a fine febbraio il numero di persone detenute era ben superiore, con 61.230 posti occupati. Da fine febbraio si era però avviata un’apprezzabile e doverosa tendenza al decongestionamento, con una diminuzione di 1.800 posti già alle soglie delle prime disposizioni adottate dal governo il 17 marzo, contenute nel decreto “Cura Italia”, che aveva introdotto una serie di misure alternative al carcere che avevano permesso la riduzione di circa 4.500 presenze nel periodo dal 19 marzo al 16 aprile, in base ai dati raccolti dal rapporto di Antigone.

Dal mese di luglio invece la popolazione carceraria è tornata a  a crescere, riducendo anche gli spazi per l’isolamento delle persone positive, a fronte di un aumento esponenziale dei contagi. Al 30 ottobre 2020 le presenze in carcere ammontavano a 54.868 persone, 1.249 in più di fine luglio.

L’adozione del nuovo Decreto Ristori approvato il 28 ottobre ha reintrodotto nuove misure per contenere i contagi nelle carceri sulla linea di quelle di marzo, ma con effetti più limitati e che hanno permesso ad oggi un calo di poco più di 1.100 presenze.

A questi dati preoccupanti si aggiunge l’aumento costante del contagio da Covid-19, ormai riscontrato in più di 70 istituti penitenziari italiani. Al 22 novembre, il numero di detenuti/e positivi/e al Covid-19 erano 809 (di cui 27 sintomatici e 16 ospedalizzati), con già alcuni decessi registrati in varie regioni. Anche i contagi tra gli agenti e altri operatori penitenziari sono in continuo aumento, con 969 casi tra il personale della polizia penitenziaria e 73 tra il personale amministrativo e dirigenziale, secondo gli ultimi dati del Ministero della Giustizia. In linea con l’andamento dei contagi generale, la regione Lombardia resta la più colpita a livello nazionale anche per quanto riguarda le carceri, con molte altre regioni in grande affanno.

La Garante regionale dei diritti dei detenuti di Torino ha allertato anche sulla positività di due bambini detenuti con le loro madri nella struttura dell’Icam.

Nonostante solo alcuni istituti penitenziari rappresentino dei veri e propri focolai, il numero dei contagiati è molto più alto rispetto al picco registrato nella prima ondata della pandemia. Nel suo ultimo bollettino del 20 novembre, il Garante per i diritti dei detenuti ha segnalato che la maggior parte degli istituti lamentano la mancanza di spazi appropriati per l’isolamento delle persone detenute positive, in un contesto caratterizzato anche da scarsità di servizi sanitari e assistenza medica.

A questa situazione esplosiva si aggiunge poi l’isolamento prolungato delle persone detenute, aggravato dalla nuova sospensione delle visite esterne nelle carceri. Sulla base delle Faq del Governo infatti, nelle regioni rosse “gli spostamenti per fare visita alle persone detenute in carcere sono sempre vietati, non potendo ritenere che tali spostamenti siano giustificati da ragioni di necessità o da motivi di salute”.

La situazione di isolamento aveva scatenato proteste violente in diversi istituti penitenziari nel marzo 2020 e rischia di inasprire la tensione già presente nelle strutture, in assenza di misure adeguate che permettano alle persone di private di libertà di mantenere un contatto significativo con l’esterno.

Alcune azioni di protesta da parte dei familiari di detenuti/e si sono già verificate, come quella di fronte al carcere le Vallette di Torino il 10 novembre scorso. Pochi giorni prima, alcune detenute della struttura avevano indirizzato una lettera ad Amnesty International Italia in cui già denunciavano la mancanza di contatti significativi con gli affetti nella situazione odierna. 

Lo stesso Garante aveva espresso preoccupazione per la possibilità delle famiglie di avere informazioni circa le condizioni dei propri congiunti, esortando le autorità a trovare soluzioni praticabili per fornire informazioni tempestive alle famiglie e per garantire il diritto alle relazioni affettive per le persone private di libertà.

Le proposte

Alla luce della situazione, è pertanto urgente che le autorità implementino al più presto soluzioni adeguate e praticabili che mettano al primo posto la tutela del diritto alla salute per la popolazione detenuta, garantendo la massima trasparenza sulla situazione all’interno delle carceri e un monitoraggio costante sull’applicazione delle misure di prevenzione, soprattutto in questa fase di chiusura in cui le stesse organizzazioni che effettuano osservazione indipendente sono costrette ad effettuare una faticosa raccolta di informazioni a distanza.

Amnesty International Italia ha aderito all’iniziativa promossa dall’associazione Antigone e da Anpi, Arci, Cgil, Gruppo Abele e alla lettera rivolta al governo e ai parlamentari della commissione giustizia di Camera e Senato, supportata anche da Acat, Ristretti, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia-CNVG, CSD – Diaconia Valdese, Uisp Bergamo e InOltre Alternativa Progressista.

Le misure proposte mirano a:

  1. La riduzione dell’affollamento e delle presenze numeriche in carcere, attraverso l’introduzione di misure alternative che proteggano soprattutto le persone vulnerabili e con problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19;
  2. La riduzione dell’isolamento dei detenuti, attraverso l’introduzione di alternative che permettano un contatto costante con le famiglie;
  3. La prevenzione del contagio e il sostegno allo staff penitenziario, anche rafforzando l’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari.