Tempo di lettura stimato: 7'
Rapporto di Amnesty International sulla Somalia: giornalisti attaccati, minacciati, uccisi e costretti all’esilio
La Somalia è diventata uno dei luoghi più pericolosi al mondo per fare giornalismo. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, presentando un rapporto sull’aumento degli attacchi, delle minacce, delle intimidazioni e delle uccisioni nei confronti di giornalisti e giornaliste.
Il drastico deterioramento della libertà di espressione e di stampa è conciso con l’inizio, nel febbraio 2017, della presidenza di Mohamed Abdullahi “Farmajo”. Gli attacchi mirati del gruppo armato “al-Shabaab” e delle forze governative somale hanno inasprito la censura e causato un aumento degli arresti arbitrari. Da allora, sono stati uccisi almeno otto giornalisti e altrettanti, a partire dall’ottobre 2018, sono stati costretti a lasciare il paese.
“In Somalia i giornalisti sono sotto assedio. Sopravvissuti per miracolo ad attentati, assassinati, picchiati e arrestati arbitrariamente, si trovano a operare in condizioni terribili“, ha dichiarato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale.
“Il giro di vite nei confronti della libertà di espressione e di stampa va avanti nell’impunità: raramente le autorità aprono indagini o processano i responsabili degli attacchi contro i giornalisti“, ha aggiunto Muchena.
Uccisioni
Dall’inizio della presidenza Farmajo, sono stati uccisi almeno otto giornalisti: cinque in attacchi indiscriminati di “al-Shabaab”, uno da un poliziotto e due da soggetti non identificati.
Abdirirzak Qassim Iman, 17 anni, operatore di ripresa di Sbs Tv, è stato ucciso il 26 luglio 2018 da un poliziotto che gli ha sparato alla testa nel quartiere Waberi della capitale Mogadiscio. Insolitamente, il responsabile è stato condannato per omicidio, in contumacia, a cinque anni di carcere e a risarcire la famiglia della vittima con 100 cammelli.
Abdullahi Osman Moalim è morto il 13 settembre a causa di un attentato suicida in un ristorante di Beledweyne, nello stato di Hirshabelle. Ali Nur Siyad è stato una delle oltre 500 vittime di un camion bomba fatto esplodere a Mogadiscio il 14 ottobre 2017. Awi Dahir Salad è stato ucciso in un attentato a Mogadiscio nel dicembre 2018. Infine, Mohamed Sahal Omar e Hodan Nalayeh, sono risultati tra le 26 vittime dell’attentato di “al-Shabaab” contro un albergo a Kisimayo, nel luglio 2019.
Ismail Sheikh Khalifa, attivista e giornalista di Kalsan Tv, è sopravvissuto miracolosamente a una bomba piazzata nella sua automobile e fatta esplodere a distanza il 4 dicembre 2018. Si trova attualmente in Turchia, dove sta ricevendo cure mediche per le gravi ferite riportate.
Assediati da ogni lato
Zakariye Mohamud Timaade, già giornalista di Universal Tv, ha lasciato la Somalia nel giugno 2019 dopo essere stato minacciato sia da “al-Shabaab” che da ambienti governativi a causa di due diversi servizi che aveva realizzato. Il gruppo armato lo aveva minacciato di morte per aver riferito della cattura di tre miliziani da parte delle forze di sicurezza, il governo si era infuriato per aver rivelato la presenza attiva di “al-Shabaab” a Mogadiscio.
“La paura più grande era la Nisa [Agenzia nazionale per la sicurezza e l’intelligence]. So che volevano uccidermi. A Mogadiscio puoi nasconderti da ‘al-Shabaab’ ma non dalla Nisa. Possono venirti a prendere in ufficio in ogni momento. Per questo ho deciso di lasciare il paese“.
Tentativi di corruzione
Amnesty International ha documentato casi di censura e tentativi di corruzione dei giornalisti da parte del governo somalo. Funzionari dell’ufficio del presidente pagano regolarmente tangenti mensili ad alcuni editori e direttori affinché non pubblichino articoli “sfavorevoli”.
Un ex direttore ha dichiarato: “Ricevevo la telefonata dal funzionario, mi recavo in un albergo per incontrarlo e mi dava il denaro in contanti. Non ha mai accettato di versarli sul mio conto bancario“.
Alcuni giornalisti hanno raccontato ad Amnesty International che i loro editori gli hanno ordinato di non scrivere articoli critici nei confronti degli uffici del presidente e del primo ministro o sui temi dell’insicurezza, della corruzione e delle violazioni dei diritti umani.
Amnesty International ha verificato che in quattro casi altrettanti giornalisti sono stati licenziati dai loro datori di lavoro.
“L’esigenza di fornire di sé un’immagine positiva ha spinto le autorità somale ad adottare tattiche repressive che violano gli standard internazionali sui diritti umani. Le autorità hanno però l’obbligo di rispettare i diritti alla libertà d’informazione, di espressione e di stampa“, ha sottolineato Muchena.
Inseguimenti sui social media
Il clima di censura ha costretto molti giornalisti a spostarsi sui social media per poter esprimere le loro opinioni. La reazione delle autorità è stata di costituire unità dedicate specificamente a monitorare e a segnalare post contenenti critiche.
Giornalisti hanno riferito che ricevono frequenti e minacciose telefonate in cui vengono invitati a cancellare i loro post.
Un giornalista ha perso il posto di lavoro per aver appoggiato un candidato dell’opposizione sulla sua pagina Facebook. A seguito dei suoi rifiuti di cancellare quei contenuti, dall’ufficio del presidente hanno chiamato persino un suo ex insegnante per convincerlo ad abbandonare del tutto la professione giornalistica.
Amnesty International ha documentato la disattivazione permanente di 16 pagine Facebook, 13 delle quali appartenenti a giornalisti, tra il 2018 e il 2019, sempre per aver violato “gli standard della comunità”.
“Facebook deve garantire di non essere manipolata dalle autorità somale, specialmente in vista delle elezioni in programma nel corso dell’anno, e assicurare la massima diligenza quando si tratta di esaminare denunce di violazione degli standard della comunità“, ha commentato Muchena.
“Il presidente Farmajo deve prendere misure immediate per assicurare indagini rapide, esaurienti, indipendenti ed efficaci sulle miriadi di denunce di violazioni dei diritti umani e della libertà di stampa e per sottoporre a processi equi i presunti responsabili“, ha concluso Muchena.