Sorveglianza di massa, corte europea diritti umani condanna il Regno Unito: “sentenza importante”

14 Settembre 2018

© Amnesty International

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Il sistema britannico di sorveglianza di massa delle comunicazioni via internet, venuto alla luce nel 2013 nell’ambito dello scandalo Datagate, non assicurava il pieno rispetto della privacy e non garantiva sufficienti protezioni per il rispetto della confidenzialità dei giornalisti. L’ha stabilito la Corte europea dei diritti umani dopo che ong, giornalisti e attivisti avevano presentato un ricorso a Strasburgo.

Il ricorso era stato sottoposto alla Corte da Amnesty International, Liberty, Privacy International e 11 altre organizzazioni per i diritti umani e per la libertà di stampa nonché due persone singole in Europa, Africa, Asia e Americhe.

I giudici della Corte hanno affermato che:

  • il regime di intercettazioni in vigore da tempo nel Regno Unito viola il diritto alla riservatezza protetto dall’articolo 8 della Convenzione e il diritto alla libertà d’espressione, protetto dall’articolo 10;
  • a violare il diritto alla riservatezza sono sia l’intercettazione dei dati relativi alle comunicazioni quanto quella dei contenuti delle stesse, il che significa che l’intero sistema di intercettazioni è illegale;
  • il sistema di autorizzazione delle intercettazioni non è in grado di rispettare i limiti delle “interferenze” (…) “necessari in una società democratica”.

La sentenza non è definitiva in quanto può essere sottoposta alla Gran Camera della Corte europea.

Il suo testo potrebbe essere anche migliorato, nella misura in cui non condanna in modo sufficiente le intercettazioni di massa, in quanto consente che i governi abbiano “un ampio margine di discrezione” nel decidere se avviare intercettazioni di quel genere e autorizza la condivisione di molte informazioni con l’Agenzia Usa per la sicurezza nazionale.

Il nostro commento

La sentenza di oggi costituisce un importante passo avanti nella protezione della riservatezza e della libertà d’espressione nel mondo. Manda al governo di Londra il forte messaggio che l’uso di estesi poteri di sorveglianza è abusivo e va contro proprio quei principi che pretende di difendere. La sorveglianza dei governi mette a rischio coloro che lavorano nel campo dei diritti umani e dell’indagine giornalistica e chi pone la sua stessa vita in pericolo per denunciare le violazioni dei diritti umani“, ha dichiarato Lucy Claridge, direttrice del programma sui Contenziosi strategici di Amnesty International.

Tre anni fa, proprio il ricorso su cui la Corte si è pronunciata oggi aveva costretto il Quartier generale del governo sulle comunicazioni (GCHQ) ad ammettere di aver spiato Amnesty International, un chiaro segnale che il nostro lavoro e le persone con cui lavoriamo erano state messe in pericolo“, ha concluso.