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Negli ultimi mesi, coincisi con la peggiore crisi economica dall’indipendenza, in tutto lo Sri Lanka si sono svolte proteste pacifiche. La risposta delle autorità si è basata sulla militarizzazione dell’ordine pubblico, su arresti arbitrari, sull’uso eccessivo della forza – soprattutto mediante gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, ma vi è stato anche un morto colpito da un proiettile – e su una narrazione profondamente ostile nei confronti delle manifestazioni, che solo sporadicamente sono degenerate in atti di violenza.
All’analisi di quel periodo di proteste e repressione è dedicato un briefing pubblicato il 9 settembre da Amnesty International nell’ambito della sua campagna globale “Proteggo la protesta”.
Se la crisi politica pare essersi risolta con la nomina, il 21 luglio, del presidente Ranil Wickremesinghe, quella dei diritti umani resta ancora aperta. Da quel giorno sono stati arrestati oltre 140 manifestanti e nei confronti di altri 18 sono stati emessi divieti di viaggio. Molti parlamentari e lo stesso presidente hanno definito “terroristi” e “fascisti” coloro che sono scesi in piazza.
Dall’armamentario di norme repressive è nuovamente tornata in auge la durissima Legge per la prevenzione del terrorismo, usata in passato per colpire minoranze, attivisti, giornalisti e voci critiche.