Stato di emergenza in Sudan: “Espediente per aumentare la repressione delle proteste”

26 Febbraio 2019

Tempo di lettura stimato: 4'

Il 22 febbraio il presidente del Sudan, Omar al Bashirha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, “licenziando” il governo federale e tutti i governatori statali.

L’annuncio dello stato di emergenza è arrivato dopo settimane di enormi proteste antigovernative, le più grandi dall’inizio della presidenza di Bashir, 30 anni fa. Le manifestazioni sono iniziate lo scorso 19 dicembre a causa di un aumento generale dei prezzi, ma si sono trasformate in breve tempo in proteste contro il presidente.

Dopo l’introduzione dello stato d’emergenza, però, il governo ha aumentato il numero degli effettivi delle forze di sicurezza, incluso l’esercito, per colpire i manifestanti.

Le autorità sudanesi usano lo stato d’emergenza per giustificare il flagrante aumento dell’uso dei proiettili veri e dei gas lacrimogeni contro i manifestanti e per torturare gli arrestati senza alcun freno“, ha dichiarato Joan Nyanyuki, direttrice di Amnesty International per l’Africa orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi.

Sollecitiamo il governo del Sudan a porre fine alle misure adottate sulla base dello stato d’emergenza per reprimere con violenza il dissenso che emerge dalle manifestazioni in corso a livello nazionale.

Dal 19 dicembre 2018, data d’inizio delle proteste di massa contro il governo, abbiamo registrato oltre 45 morti e più di 180 feriti. Secondo fonti governative, gli arresti sono stati oltre 2.600.

Gli episodi di violenza

Sabato 23 febbraio, le forze di sicurezza hanno preso d’assalto la residenza di un medico nei pressi della Scuola di formazione ospedaliera di Khartoum, picchiando i presenti e arrestando oltre 40 medici sospettati di aver organizzato le proteste.

Il 24 febbraio le forze di sicurezza hanno usato proiettili veri e gas lacrimogeni contro i manifestanti che protestavano in vari luoghi dello stato di Khartoum, ferendo almeno tre persone. La polizia ha fatto irruzione nel campus dell’Università di Scienze mediche e Tecnologia della capitale, picchiando e arrestando decine di studenti. Sempre nella capitale, nel quartiere di Burri, i soldati hanno fatto irruzione nelle abitazioni, sparando gas lacrimogeni, picchiando persone e sequestrando telefoni cellulari.

A Omdurman, nel quartiere di Alabasya, si segnala sempre dal 24 febbraio una forte presenza di soldati, membri dei servizi di sicurezza e agenti di polizia.

Il 25 febbraio agenti della sicurezza hanno invaso l’Università femminile Ahfad di Omdurman picchiando le studentesse che protestavano e ricorrendo ai gas lacrimogeni per disperderle.

“Questo brutale giro di vite che ha fatto subito seguito alla proclamazione dello stato d’emergenza è preoccupante. Coloro che manifestano pacificamente devono poter esprimere le loro idee e le forze di sicurezza devono cessare di attaccarli, arrestarli e picchiarli”, ha concluso Nyanyuki.