Sudan, aumentano gli attacchi in Darfur ma l’Onu vuole ridimensionare la sua missione

29 Giugno 2018

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Alla vigilia del voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sabato 30 giugno sulla possibile ristrutturazione e sul conseguente ridimensionamento dell’Unamid (la Missione congiunta Onu – Unione africana in Darfur), Amnesty International ha diffuso esclusive immagini satellitari e fotografie che mostrano le conseguenze dei recenti attacchi condotti dall’esercito sudanese e dalle milizie filo-governative nella regione.

Queste immagini confermano i racconti dei testimoni, precedentemente raccolti da Amnesty International, da 13 villaggi colpiti.

“Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non deve e non può abbandonare il popolo del Darfur ridimensionando l’Unamid, la loro unica fonte di sicurezza e incolumità”, ha dichiarato Joan Nyanyuki, direttore di Amnesty International per l’Africa orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi.

“Per centinaia di migliaia di sfollati del Darfur, il saccheggio e il rogo delle loro case rendono impensabile la prospettiva di tornare nei loro villaggi”.

Negli ultimi tre mesi, nel corso delle operazioni militari contro l’Esercito di liberazione del Sudan – Al Wahid, 18 villaggi dell’area del Jebel Marra sono stati dati alle fiamme.

Tra le 12.000 e le 20.000 persone sono state costrette alla fuga e hanno trovato riparo nelle grotte delle montagne del Jebel Marra senza essere state ancora raggiunte dagli aiuti umanitari. Coi villaggi dati alle fiamme e i loro beni saccheggiati, le possibilità di tornare a casa sono pari a zero.

“Il governo sudanese ha palesemente fallito nel proteggere i propri cittadini e non dobbiamo permettere che prosegua. Da parte sua, il Consiglio di sicurezza dell’Onu deve prolungare il mandato dell’Unamid per proteggere e tutelare la vita e i diritti umani della popolazione del Darfur”, ha detto Joan Nyanyuki.

Dopo 15 anni dall’inizio del conflitto, oltre un milione e mezzo di darfuriani risultano sfollati e non possono ancora tornare nelle loro terre.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 28 giugno 2018
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