Sudan, due anni fa l’incriminazione del presidente al-Bashir

4 Marzo 2011

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A due anni di distanza dall’emissione dei mandati di cattura da parte della Corte penale internazionale, il presidente del Sudan Omar al-Bashir, il governatore del Kordofan sudAhmad Harun e il capo delle milizie janjawid Ali Kushayb, continuano a restare alla larga dalla giustizia. Nessuna sorpresa, dunque, commenta amaramente Amnesty International, che la situazione dei diritti umani in Darfur rimanga agghiacciante.

Il presidente al-Bashir deve rispondere di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, quest’ultimo capo d’accusa aggiunto successivamente ai primi due. Nonostante la gravità di questi reati,   l’Unione africana ha adottato una decisione che impegna gli stati membri a rifiutare il suo arresto e da due anni chiede al Consiglio di sicurezza dell’Onu di sospendere i procedimenti nei suoi confronti.

L’impunità dominante in Sudan non solo protegge i più alti vertici dello stato ma impedisce anche ai comuni cittadini l’accesso alla verità, alla giustizia e alla riparazione.

Negli ultimi tre mesi gli scontri tra le forze governative e i gruppi armati di opposizione si sono nuovamente intensificati, nel nord e nel sud del Darfur. Solo nel dicembre 2010, secondo le Nazioni Unite, oltre 40.000 persone sono state costrette alla fuga.  Nella seconda metà del febbraio 2011 i combattimenti hanno causato la distruzione di 10 villaggi nella zona di Shangil Tobaya e la fuga di 4000 persone.

Ciò nonostante, il governo continua a limitare l’attività degli organismi umanitari. A febbraio, la Catholic Relief Services è stata accusata di distribuire copie della Bibbia e le è stato impedito di lavorare nel Darfur occidentale, mentre Medecins du Monde è stata espulsa dal sud della regione per ‘spionaggio’.