Tempo di lettura stimato: 4'
In Cina esercitare la professione di avvocato può essere molto pericoloso. Se si sceglie di difendere casi ritenuti ‘sensibili’ dalle autorità si rischia di essere sottoposti a una serie di misure repressive, che vanno dalla sospensione o revoca della licenza, da pretestuose valutazioni d’idoneità annuali fino alle minacce, alle sparizioni forzate e addirittura alla tortura.
Da due anni, infatti, le autorità di Pechino sottopongono a queste tattiche del silenzio gli avvocati che hanno il coraggio di difendere persone accusate di appartenere a gruppi religiosi non riconosciuti (tra cui la Falun Gong), i manifestanti tibetani e uiguri, le vittime di sgomberi forzati, quelle della tortura e della detenzione illegale, chi critica l’operato del governo in occasioni di disastri naturali o gli imputati condannati a morte, prevalentemente sulla base di confessioni estorte con la tortura.
Attraverso nuove disposizioni che impediscono agli avvocati di difendere determinati clienti, di commentare pubblicamente i processi o di contestarli, e ampliando il raggio d’applicazione del reato di ‘incitamento alla sovversione’, le autorità hanno ridotto al silenzio moltissimi avvocati, tanto che su 204.000 solo poche centinaia si occupano di diritti umani.
Queste misure repressive si sono intensificate negli ultimi mesi. I recenti rilasci, come quello di Ai Weiwei e di Hu Jia (che, peraltro, ha scontato fino all’ultimo giorno della sua condanna a tre anni e mezzo di prigione, nonostante le cattive condizioni di salute), non bastano a nascondere la repressione in atto per impedire ogni tentativo di replicare in Cina la ‘rivoluzione dei gelsomini’ ispirata alla Primavera araba e che, a partire da febbraio, ha portato all’arresto di oltre un centinaio di blogger, attivisti e, per l’appunto, avvocati.
Uno degli ultimi avvocati a essere finito nelle maglie repressive è Tang Jingling, che aveva difeso degli operai arrestati per aver protestato contro le condizioni di lavoro o perché lavoravano senza essere retribuiti. Dal 22 febbraio di quest’anno non si sa dove si trovi.
Un altro avvocato, Gao Zhisheng, da quando nel 2005 ha chiesto la fine della persecuzione religiosa si è visto prima revocare la licenza, poi una condanna a tre anni per ‘incitamento alla sovversione’. Dopo essere stato sottoposto agli arresti domiciliari, sotto continua sorveglianza, è stato sequestrato dalla polizia e tenuto segregato per 14 mesi in vari centri di detenzione non ufficiali. Nell’aprile 2010, a seguito di un’intervista rilasciata all’Associated Press, è scomparso e da allora non si hanno più sue notizie.
Amnesty International chiede al governo di Pechino di porre fine a queste misure repressive, di rilasciare tutti coloro che sono stati arrestati o fatti sparire per aver difeso i diritti fondamentali e di affidare il governo della professione legale a organismi indipendenti, come richiesto dagli standard internazionali.