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Dal 20 maggio 2014, quando l’esercito thailandese ha proclamato la legge marziale, i diritti alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica sono stati fortemente limitati mentre sono stati ampliati i poteri d’arresto, col risultato che 511 persone – soprattutto attivisti politici – sono state arrestate arbitrariamente, sebbene la maggior parte di esse sia stata rilasciata pochi giorni dopo.
Secondo Amnesty International, dopo un mese di legge marziale non s’intravede ancora la fine delle violazioni dei diritti umani. ‘Sacrificare i diritti umani per fini politici non è mai un prezzo che vale la pena pagare. Il Consiglio nazionale thailandese per la pace e l’ordine deve assicurare che i diritti alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica siano protetti e che cessino gli arresti e i procedimenti giudiziari nei confronti di chi si limita a esprimere critiche in modo pacifico‘ – ha dichiarato Richard Bennett, direttore del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International. ‘È giunto il momento che l’esercito ritiri le sue ordinanze vaghe e repressive, molte delle quali violano gli obblighi internazionali della Thailandia in materia di diritti umani‘.
La sospensione delle garanzie costituzionali e delle salvaguardie per i detenuti ha compromesso il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto e può aver contribuito alla possibile sparizione forzata di almeno un’attivista politica. Si tratta di Kritsuda Khunasen, arrestata il 28 maggio nella provincia di Chonburi e della quale, da allora, si sono perse le tracce. Arresti arbitrari, rifiuto del rilascio con la condizionale e procedimenti giudiziari sono gli strumenti cui i militari ricorrono sempre più spesso per impedire ai cittadini thailandesi di esprimere la loro opinione sulla situazione politica. Centinaia di persone (oltre il 90 per cento delle quali sostenitrici o alleate del precedente governo, ma anche intellettuali e giornalisti) sono state arrestate arbitrariamente, dopo essere state convocate per interrogatori.
La mancata presentazione a una convocazione è ora un reato penale. Le persone rilasciate rischiano di essere nuovamente arrestate e processate se prenderanno parte ad azioni considerate ostili al colpo di stato dell’esercito.Le autorità militari hanno incriminato dissidenti pacifici sulla base di leggi sulla sicurezza che limitano gravemente i diritti umani, in violazione degli obblighi internazionali della Thailandia. Usare i social media per convocare manifestazioni o addirittura fare un ‘like’ su determinati post di Facebook possono essere considerati reati di natura penale. Le autorità stanno inoltre accelerando i procedimenti giudiziari per ‘lesa maestà’ (la legislazione che criminalizza le critiche alla monarchia) e negano la libertà condizionata a chi è sotto inchiesta per tale reato.
Oltre ad aver direttamente ridotto al silenzio i media, le restrizioni introdotte dai militari stanno producendo un clima di autocensura e d’incertezza sui confini della libertà d’espressione che non favorisce la libera partecipazione alle discussioni sulla riconciliazione e il futuro politico della Thailandia.
‘La serie di misure repressive introdotta in Thailandia dipinge un quadro a tinte fosche della situazione dei diritti umani sotto la legge marziale. Le autorità militari devono revocare immediatamente queste restrizioni e porre fine agli arresti e ai procedimenti giudiziari nei confronti di attivisti che si limitano a esercitare pacificamente i loro diritti umani‘ – ha sottolineato Bennett.
Amnesty International, infine, ha rinnovato la richiesta alle autorità di rendere noti i nomi e i luoghi di detenzione di tutte le persone arrestate ai sensi della legge marziale.