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Al temine di un’accurata analisi degli atti giudiziari, Amnesty International ha preso posizione sulle condanne di massa emesse l’8 luglio nei confronti di esponenti dell’opposizione al termine del processo chiamato “Complotto 2”: per l’organizzazione, si tratta di un ulteriore esempio della progressiva restrizione degli spazi di libertà civile in Tunisia, dell’erosione dell’indipendenza del potere giudiziario e del diniego del diritto a un giusto processo.
Il processo si è basato, non per la prima volta, su vaghe accuse di terrorismo e reati contro la sicurezza dello stato formulate con l’obiettivo di ridurre al silenzio il dissenso pacifico e intimidire chi critica il governo del presidente Kais Saied.
Apertosi il 24 giugno, il processo è terminato dopo due settimane con la condanna di 21 dei 24 imputati, tra i quali dirigenti politici del partito Ennahda, ex funzionari di governo e della sicurezza e ulteriori esponenti dell’opposizione. Le condanne hanno variato dai 12 ai 35 anni di carcere.
Rached Ghannouchi, leader del partito Ennahda, è stato condannato a 14 anni in contumacia, avendo rifiutato di partecipare al processo. Altri dirigenti del partito residenti in Tunisia tra i quali Habib Ellouz, Samir Hanachi e Fathi Elbedoui, sono stati condannati a 12 anni. Gli esponenti di Ennahda in esilio Mouadh Kheriji e Lotfi Zitoun sono stati condannati in contumacia a 35 anni di carcere.
Le indagini che hanno portato al processo erano iniziate nel maggio 2023, dopo che un informatore anonimo aveva denunciato l’esistenza di una rete clandestina, diretta da Ghannouchi, che intendeva “cambiare la struttura dello stato” avvalendosi di un ex funzionario del ministero dell’Interno e di funzionari della sicurezza.
Le accuse di “complotto contro la sicurezza dello stato” si sono dunque per lo più basate su testimonianze anonime e intercettazioni telefoniche oltre che su documenti sequestrati durante varie persecuzioni, contenenti essenzialmente critiche di natura politica.
Il teorema dell’indagine e del processo “Complotto 2”, basato su prove non verificabili in modo indipendente ma accreditato e amplificato dai mezzi d’informazione statali è stato, in sostanza, che determinati esponenti dell’opposizione dirigessero un “apparato di sicurezza” parallelo e clandestino.
Il processo è stato segnato da varie irregolarità: per non meglio specificati “pericoli concreti”, gli imputati in stato di detenzione sono stati costretti a seguire le udienze da remoto, con conseguenti difficoltà di comunicare coi loro avvocati o di interagire coi giudici. L’accesso all’aula è stato fortemente limitato a giornalisti, familiari e osservatori indipendenti.