Tunisia: posto pericoloso per chi difende i diritti umani

23 Giugno 2009

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La Tunisia può essere un posto pericoloso per chi difende i diritti umani

Intervista a Radhia Nasraoui (giugno 2009)

Radhia Nasraoui, attivista e avvocato per i diritti umani, è cofondatrice e presidente dell’Associazione per la lotta alla tortura in Tunisia (Altt); da anni subisce vessazioni e intimidazioni a causa del suo lavoro.

Cosa ha acceso il tuo interesse per i diritti umani?
I miei genitori mi hanno insegnato a oppormi all’ingiustizia e io ho seguito questa lezione durante l’infanzia e i miei anni di scuola. All’Università, ho imparato a combattere per la libertà e la democrazia nel movimento studentesco, negli anni ’70, sotto [l’ex presidente] Bourguiba. Quando sono diventata avvocato, il primo caso di cui mi sono occupata era relativo a un giovane avvocato che, nel 1976, stava difendendo un gruppo di studenti arrestati nel corso di una manifestazione.
 
Quali sono le principali sfide nella lotta contro le violazioni dei diritti umani in Tunisia?
Le persone temono le autorità; hanno paura di subire vessazioni e di essere arrestate. Le autorità danno al mondo un’immagine della Tunisia come di un paese bello, moderno e tranquillo. Dicono pubblicamente che non ci sono problemi, non c’è terrorismo e così via ma, allo stesso tempo, centinaia di giovani vengono arrestati e accusati di terrorismo. La Tunisia può essere un posto pericoloso per chi difende i diritti umani: puoi perdere il lavoro, il passaporto e tutti i diritti; la tua casa o il tuo ufficio possono essere ispezionati (dalla polizia) in tua assenza; puoi essere arrestato, picchiato e torturato e la tua famiglia può essere minacciata. Se sei avvocato, le autorità possono fare pressioni, anche di tipo economico, sui tuoi clienti affinché cambino legale.
 
Se potessi, cosa cambieresti della situazione in Tunisia?
Eliminerei la tortura e l’impunità affinché le persone possano prendere parte alla lotta per le libertà, i diritti umani e la democrazia senza timore. A questo scopo, nel 2003 ho fondato insieme ad altre persone l’Altt, una piccola organizzazione non autorizzata. Abbiamo tentato di far unire a noi diverse persone, anche difensori dei diritti umani, ma loro hanno paura perché una volta che ne sei diventato membro, puoi trovarti di fronte i torturatori, che godono di totale impunità e che ti considerano una minaccia. Io ho avuto problemi con la polizia persino prima di iniziare a lavorare con l’Altt; il mio ufficio è stato perquisito diverse volte, ma non sono mai stata attaccata fisicamente. La polizia non avrebbe mai picchiato qualcuno in mia presenza, perché sapeva che io ero in contatto con organizzazioni come Amnesty International e (…) con giornalisti. Dopo la fondazione dell’Altt, i metodi della polizia sono diventati più efferati. Sono stata picchiata diverse volte. Nel 2005, mentre stavo andando a una manifestazione, sono stata seguita da un gruppo di agenti in borghese che mi hanno aggredita prima che arrivassi al punto di ritrovo. Mi hanno picchiata e mi hanno spaccato il naso. Non ho mai avuto il diritto a un’indagine su questa aggressione.

Che impatto ha il tuo lavoro nella tua vita e in quella della tua famiglia?
Tutta la mia famiglia, compresi i miei fratelli e le mie figlie, è stata punita per il mio lavoro. I miei fratelli pur non essendo coinvolti nel mio lavoro, ancora non riescono a trovare un’occupazione stabile. A uno è stata negata l’autorizzazione per le attività commerciali. La polizia conosce ogni cosa visto che ascolta le telefonate. Non c’è assolutamente rispetto per la nostra privacy: sanno tutto ciò che accade nella nostra famiglia e tutti i telefoni sono sotto controllo. Il mio cellulare è stato messo fuori uso più di due mesi fa, dopo una telefonata con un collega difensore dei diritti umani, che aveva problemi con la polizia. Mi aveva chiamato per chiedermi di aiutarlo ad avere supporto da altri attivisti. Non appena abbiamo finito, ho selezionato il numero di un altro collega, ma la linea era stata interrotta. La mia famiglia vive in costante incertezza e insicurezza. Ci aspettiamo sempre di aver dei problemi dopo un’intervista, un discorso in pubblico, una difesa in tribunale…

Hai un messaggio per i nostri lettori?
È importante andare avanti. Le vostre lettere, i vostri appelli aiutano le persone che hanno subito violazioni di diritti umani. Si sentono meno isolate mentre il regime vuole proprio questo. Tutto ciò può essere cambiato! Noi dobbiamo usare le nostre voci. Il silenzio rende complici. La solidarietà è il modo più importante per aiutare gli altri, permette di non sentirsi soli nella propria lotta.