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Amnesty International ha sollecitato le autorità tunisine ad avviare un’inchiesta indipendente e imparziale sulla morte di Thabet al-Hajlaoui, un ragazzo di 13 anni ucciso dalle forze di sicurezza domenica 17 luglio nel corso di una manifestazione contro il governo a Sidi Bouzid, la città dalla quale alla fine del 2010 presero il via le proteste che portarono alla fine del governo di Zine El Abidine Ben Alì.
La protesta del 17 luglio era stata convocata per chiedere processi nei confronti degli ex membri del deposto governo. Di fronte a una caserma dell’esercito, alcuni manifestanti avevano incendiato pneumatici e lanciato pietre. Secondo quanto raccontato dai suoi familiari ad Amnesty International, Thabet al-Hajlaoui, attirato dai suoni e dai rumori, era sceso in strada a dare un’occhiata, coprendosi dietro un muro per poi uscire ogni tanto a sbirciare. Un testimone oculare ha riferito che in uno di questi momenti, il ragazzo è stato colpito da un proiettile che, trapassato un braccio, gli è entrato nel petto.
Due giorni prima, venerdì 15 luglio, in piazza della Kasbah a Tunisi, era stata indetta una manifestazione per chiedere la riforma del sistema giudiziario, le dimissioni dei ministri degli Interni e della Giustizia e un processo nei confronti dei responsabili delle uccisioni avvenute durante le manifestazioni di dicembre e gennaio.
Agenti delle forze di sicurezza, a piedi o a bordo di motociclette, hanno impedito a molti manifestanti, giornalisti e attivisti per i diritti umani di raggiungere piazza della Kasbah. Molte persone sono state prese a manganellate. Un attivista dell’organizzazione per i diritti umani Libertà e uguaglianza, Ahmed Ben Nacib, 20 anni, è stato colpito con manganelli, calci e pugni, portato in una stazione di polizia e nuovamente picchiato prima di essere rilasciato.
Diversi manifestanti, per ripararsi dai gas lacrimogeni, hanno cercato riparo nella moschea della Kasbah. Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione all’interno, arrestando almeno 47 persone e disperdendo gli altri manifestanti a colpi di manganello.
Il 16 luglio, il ministero degli Interni ha giustificato l’azione dei propri uomini, asserendo che i manifestanti avevano lanciato pietre e oggetti metallici, causando 18 feriti tra le forze di sicurezza.
Secondo Amnesty International, le autorità tunisine non hanno appreso niente dalla morte di oltre 300 manifestanti nella rivolta di dicembre e gennaio. Continuano a negare il diritto di manifestazione, a non indagare sulle centinaia di manifestanti uccisi e a ricorrere all’uso eccessivo uso della forza, trincerandosi dietro il fatto che alcuni dimostranti possono aver lanciato dei sassi.