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Sette persone in carcere in Turchia per false accuse sono state dichiarate “prigionieri di coscienza” da Amnesty International, per riconoscere la lunga serie di ingiustizie che essi hanno subito negli ultimi anni: arresti arbitrari, procedimenti giudiziari politicamente motivati, processi farsa e condanne.
Amnesty International ha preso questa decisione dopo la condanna in appello dei sette imputati, precedentemente assolti, e la pubblicazione delle motivazioni del verdetto, prive di alcun fondamento.
Il 25 aprile il filantropo Osman Kavala è stato condannato all’ergastolo per “tentativo di rovesciare il governo”. Secondo l’accusa, sarebbe stato tra gli ispiratori delle proteste di massa, ampiamente pacifiche, svoltesi nel 2013 al Gezi Park di Istanbul ma non è mai stata prodotta alcuna prova per sostanziare il reato. Kavala è in carcere dal 2017.
Gli altri sette coimputati sono stati condannati a 18 anni di carcere per aver collaborato con Kavala. Di essi, l’unico ancora a piede libero ma contro il quale è stato spiccato un mandato di cattura è l’accademico Yiğit Ekmekçi.
L’annuncio della nomina dei sette prigionieri di coscienza è stato fatto durante una visita ai prigionieri da parte di una delegazione di alto livello di Amnesty International, guidata dal presidente dell’associazione in Turchia, l’avvocato Kerem DIkmen.
Le sei persone nominate prigionieri di coscienza insieme a Kavala sono:
Mücella Yapıcı, architetta e, all’epoca delle proteste di Gezi Park, segretaria della sede di Istanbul dell’Ordine degli architetti. È una delle 26 persone già processate per “aver trasgredito alla legge sulle riunioni e sulle manifestazioni” e una delle cinque accusate anche di “aver fondato e diretto un’organizzazione illegale”, reati per i quali vennero assolte nel 2015. Il processo al termine del quale è stata condannata è il terzo indetto nei suoi confronti per le proteste di Gezi Park.
Tayfun Kahraman, urbanista ed esponente del movimento “Solidarietà per Taksim”, successivamente coordinatore degli urbanisti del progetto della Grande Istanbul.
Can Atalay, già avvocato del movimento “Solidarietà per Taskim” ed esponente della sede di Istanbul dell’Ordine degli architetti. Ha rappresentato i parenti delle vittime in alcuni noti processi, terminati con l’impunità, come quello per l’esplosione della miniera di carbone di Soma nel 2014 in cui restarono uccisi oltre 300 minatori e quello per il deragliamento di un treno a Çorlu, nel 2018, nel quale persero la vita 24 persone.
Mine Özerden, esponente della “Piattaforma Taskim”, un’altra organizzazione della società civile turca nata nel 2011 per contrastare il progetto di riqualificazione di piazza Taksim. Autrice di documentari, ha lavorato nel campo della pubblicità sociale e per vari gruppi della società civile.
Çiğdem Mater, produttrice cinematografica, interprete e collaboratrice di varie testate internazionali come The Boston Globe, Le Nouvel Observateur, The Los Angeles Times, Radio France Internationale e Sky News. Un’opera da lei prodotta, “Burning days”, è stata premiata quest’anno a Cannes ma lei non ha potuto ritirare il premio poiché era in carcere.
Hakan Altınay, direttore della Scuola europea di politica e presidente della Global Civics Academy. Fondatore della Fondazione Open Society in Turchia, ha scritto per Financial Times, International Herald Tribune e New York Times.