Turchia: avviata indagine penale per la copertura del giornale Charlie Hebdo

15 Gennaio 2015

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Un’indagine penale avviata oggi nei confronti di uno dei maggiori quotidiani della Turchia per ‘aver insultato valori religiosi’ nella sua copertura delle vignette controverse pubblicate in Francia rappresenta censura di stato e avrà un effetto raggelante sul giornalismo e la libertà d’espressione, ha dichiarato Amnesty International.

L’inchiesta fa seguito a un raid della polizia contro il quotidiano Cumhuriyet mercoledì a Istanbul, dopo che un pubblico ministero ha scoperto che il giornale aveva pubblicato una selezione delle vignette del giornale satirico francese Charlie Hebdo.

Il primo ministro turco ha chiamato la riproduzione delle vignette una ‘grave provocazione’ affermando che ‘la libertà di espressione non significa libertà di insulto’.

Fare un raid in un giornale o avviare indagini penali ai danni di giornalisti a causa di ciò che è stato pubblicato sono una drastica limitazione della libertà di espressione e rappresentano censura di Stato‘ ha dichiarato Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia. ‘I giornalisti non possono riportare accuratamente le notizie senza fornire il contesto e non devono essere oggetto di indagini penali o accuse per aver fatto semplicemente il loro lavoro. Il diritto internazionale dei diritti umani non consente limitazioni alla libertà di espressione semplicemente per il fatto che ha il potenziale per offendere o insultare‘.

Secondo il diritto internazionale, il diritto alla libertà di espressione si applica a informazioni e idee di ogni tipo, incluse quelle che possono essere profondamente offensive. Cumhuriyet ha pubblicato quattro pagine di selezione delle immagini di Charlie Hebdo come supplemento alla sua edizione quotidiana mercoledì.

Il giornale ha scelto di non ristampare come propria immagine di copertina la cover del settimanale francese – raffigurante il profeta Maometto con le lacrime agli occhi e un cartello con scritto #JeSuisCharlie, sotto lo slogan ‘tutto è perdonato’. Ma due editorialisti di Cumhuriyet, Hikmet Cetinkaya e Ceyda Karan, hanno pubblicato la vignetta nelle loro rubriche. Secondo Cumhuriyet, sono state avviate indagini penali contro entrambi i giornalisti. Le immagini sono state da allora rimosse dall’edizione online del giornale.

Il personale del Cumhuriyet ha anche subito minacce di violenza per aver pubblicato le vignette e un gruppo di dimostranti ha manifestato fuori dai loro uffici a Istanbul.

Nessun’altra testata di carta stampata in Turchia ha pubblicato le immagini di Charlie Hebdo, che hanno portato a polemiche internazionali.

Un tribunale di Diyarbakir, nel sud-est della Turchia, ha ordinato il blocco di diversi siti web che hanno pubblicato le immagini della copertina di Charlie Hebdo.

C’è una lunga storia di tribunali turchi che hanno trattato la critica come ‘insulto’, con conseguenti condanne penali che violano il diritto alla libertà di espressione. Leggi penali sulla diffamazione sono frequentemente utilizzate in questo senso, ma eventuali denunce di diffamazione o ingiuria contro individui devono essere risolte attraverso contenziosi civili, non penali.

Vi è una tendenza in crescita, in particolare, di perseguire l’espressione che si ritiene insulti l’Islam. In un caso, dal 2013 il pianista Fazil Say è stato condannato per ‘aver denigrato l’Islam’ secondo una legge che vieta ‘l’incitamento all’odio o all’ostilità’. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani, la tutela dei credi religiosi o di altro genere o della sensibilità dei credenti non è un motivo ammissibile per limitare la libertà di espressione e la ‘denigrazione’ di una religione non costituisce incitamento all’odio.

In un ulteriore segno della fragilità della libertà di espressione in Turchia, oggi i giornalisti di un secondo giornale, Yeni Akit, sono stati oggetto di minacce e gli uffici di Istanbul del giornale sono stati attaccati da manifestanti che hanno lanciato pietre dopo che il quotidiano ha pubblicato immagini ritenute offensive per il presidente fondatore della Turchia, Mustafa Kemal Ataturk.