Turchia: la chiusura pre-elettorale di Twitter un altro colpo alla libertà d’espressione online

20 Marzo 2014

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Amnesty International ha chiesto l’immediata revoca della decisione di bloccare Twitter, adottata poco prima della mezzanotte di giovedì 20 marzo, dopo che il primo ministro Erdoğan aveva annunciato, in un comizio elettorale, che lo avrebbe ‘spazzato via’.

Il blocco è stato attuato dal dipartimento per le Telecomunicazioni su ordine dell’ufficio del Procuratore di Istanbul e di altre ordinanze giudiziarie. Nella decisione è stata citato il mancato adempimento di Twitter a ordinanze giudiziarie che disponevano la cancellazione di alcuni contenuti.

La decisione è un attacco senza precedenti alla libertà di Internet e alla libertà d’espressione in Turchia. Questa misura draconiana, adottata sulla base della restrittiva legge vigente in materia di Internet, mostra fino a che punto le autorità sono disposte ad arrivare per impedire le critiche al governo‘- ha dichiarato Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia.

Gli utenti dei social media turchi hanno condannato la decisione e, aggirando il blocco, hanno inviato oltre un milione di tweet di protesta. La decisione, un duro attacco al diritto dei cittadini turchi di condividere e ricevere informazioni, è stata presa a una settimana dalle elezioni locali. Twitter era stato recentemente utilizzato per condividere una serie di presunte conversazioni telefoniche intercettate, che davano credito alle voci sulla corruzione governativa e le interferenze del governo nell’economia e nell’informazione.

Sono 10 milioni gli utenti di Twitter in Turchia. Il suo uso è aumentato rapidamente la scorsa estate durante le proteste di Gezi Park, quando è stato usato per condividere e ricevere informazioni non riportate dai principali mezzi d’informazione, strettamente legati alle autorità. Il governo turco aveva attaccato i social media e i loro utenti e lo stesso primo ministro aveva definito Twitter ‘un flagello’, nell’ambito di una più ampia strategia volta a ridurre al silenzio e a screditare coloro che avevano criticato la repressione delle proteste, compresi medici, avvocati e giornalisti.

I social media sono una spina nel fianco del governo. Non solo sono ben usati da chi lo critica ma gli stessi proprietari sembrano non risentire delle minacce e delle intimidazioni cui vanno incontro gli organi d’informazione nazionali‘ – ha commentato Gardner. ‘Le decisione di bloccare l’accesso a Twitter rappresenta un vergognoso segnale di come il governo turco intende usare la legge su Internet, di recente modifica, per controllare i contenuti online. Si tratta di un attacco alla libertà d’espressione sanzionato da un tribunale‘ – ha concluso Gardner.

Ulteriori informazioni

La censura su Internet è ampiamente diffusa in Turchia, soprattutto nei confronti di portali d’informazione filo-curdi e di chat room gay. Tra il 2007 e il 2010 è stato anche bloccato YouTube a causa di video accusati di offendere la memoria di Atatürk, il fondatore della Repubblica turca. Il sito di Google resta bloccato nonostante una sentenza della Corte europea dei diritti umani abbia stabilito che questa decisione abbia violato il diritto alla libertà d’espressione.

Nel febbraio 2014, il governo ha adottato una serie di emendamenti che hanno reso ancora più restrittiva la legislazione su Internet, fino al punto di minacciare il diritto alla libertà d’espressione e alla riservatezza. Amnesty International continua a chiedere il ritiro degli emendamenti e l’adeguamento della legge agli standard internazionali sui diritti umani.

Contenuti pubblicati sui social media, incluso Twitter, hanno dato vita a procedimenti giudiziari iniqui in violazione del diritto alla libertà d’espressione. A Smirne, 29 ragazzi sono sotto processo per ‘aver incoraggiato la popolazione a violare la legge’, a causa di tweet inviati durante le proteste di Gezi Park. Sempre a causa di contenuti diffusi via social media, sono sotto processo diversi membri di Taksim Solidariety, una rete di organizzazioni che ha avuto un ruolo determinante nel movimento di protesta del 2013.

FINE DEL COMUNICATO     Roma, 21 marzo 2014

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