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Il Comitato esecutivo dell’Ordine degli avvocati di Istanbul è sotto processo, civile e penale, a causa di una dichiarazione, diffusa il 21 dicembre 2024, sull’uccisione di due giornalisti curdi, Nazım Daştan and Cihan Bilgin (a sinistra e a destra nella foto), colpiti da un drone nel nord della Siria.
Nella dichiarazione, il presidente Ibrahim İbrahim Kaboğlu e i dieci componenti dell’esecutivo dell’Ordine avevano ricordato che i giornalisti in zone di guerra sono protetti dal diritto internazionale e avevano sollecitato la scarcerazione di un gruppo di persone che avevano manifestato in solidarietà con le due persone uccise.
Gli undici avvocati sono accusati di “propaganda per un’organizzazione terrorista” e di “diffusione di informazioni fuorvianti”. Il 21 marzo di quest’anno un tribunale civile ha decretato la fine del mandato dell’intero Comitato esecutivo dell’Ordine degli avvocati, decisione attualmente oggetto di un ricorso.
Una settimana fa, 12 organizzazioni per i diritti umani e gruppi legali (hanno presentato al tribunale n. 26 di Istanbul un amicus curie (un intervento di una parte terza, che ritiene di avere un interesse legittimo a fornire una dichiarazione nel corso di un procedimento) in difesa dell’indipendenza della professione legale.
In alcuna parte della dichiarazione del 21 dicembre 2024 le 12 organizzazioni hanno ravvisato parole interpretabili come incitamento alla violenza o promozione del terrorismo. La dichiarazione, hanno aggiunto, rientrava interamente nell’ambito del mandato professionale degli imputati: difendere i propri associati e contestare l’illegittimità degli arresti delle persone che avevano preso parte alle manifestazioni.
I procedimenti in corso non sono un caso isolato: fanno parte di una tendenza, sempre più ampia in Turchia, fatta di interferenze nel lavoro degli avvocati e di incriminazioni.
Per capire l’aria che tira nel paese, la settimana scorsa un tribunale di Istanbul ha azzerato la direzione provinciale del Partito repubblicano del popolo, nominando di autorità una direzione ad interim. Il 7 settembre è stato imposto il divieto assoluto di manifestare della durata di tre giorni. Domenica sera la velocità di Internet è stata rallentata e l’accesso alle principali piattaforme social è stato limitato per quasi 24 ore.
Chi ha provato a sfidare il divieto di manifestare è stato arrestato, così come tre persone che avevano contestato il provvedimento tramite i loro account. In totale, secondo fonti ufficiali, 103 persone sono sotto inchiesta per aver condiviso “contenuti provocatori e disinformazione”.
L’articolo è stato pubblicato originariamente sul blog Le persone e la dignità.