Turchia, pronuncia della Corte europea evidenzia le crepe del sistema giudiziario

21 Novembre 2018

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Il 20 novembre la Corte europea dei diritti umani ha giudicato che la reiterata estensione, da parte della giustizia della Turchia, della detenzione preventiva del leader dell’opposizione Selahattin Demirtaş è dovuta a motivi politici, viola gli articoli 5.3 e 18 della Convenzione europea dei diritti umani e “soffoca il pluralismo e la libertà di dibattito politico”.

Questa pronuncia, da parte del massimo organo di giustizia europeo, dovrebbe avere profonde implicazioni all’interno di un paese in cui gli attori della società civile trascorrono lunghi periodi di tempo in detenzione preventiva per false accuse”, ha dichiarato Andrew Gardner, direttore della strategia e delle ricerche di Amnesty International sulla Turchia.

La Corte ha messo in evidenza la perniciosa e indebita influenza della politica in un sistema giudiziario, quello turco, pieno di crepe e che manda a processo dissidenti e persone che esprimono opinoni del tutto pacifiche”, ha aggiunto Gardner.

In quanto stato membro del Consiglio d’Europa, la Turchia è obbligata a rispettare le decisioni della Corte. Da questo punto di vista, deve rilasciare Selahattin Demirtaş immediatamente”, ha concluso Gardner.

Ulteriori informazioni

Selahattin Demirtaş, ex co-presidente del Partito democratico del popolo (Hdp, all’opposizione) è in detenzione preventiva da oltre due anni.

La sentenza della Corte europea dei diritti umani è la prima a citare, oltre all’articolo 5.3 della Convenzione europea (sul diritto a essere processati entro un tempo ragionevole), anche l’articolo 18 (sui limiti all’applicazione delle restrizioni ai diritti) in un caso riguardante la Turchia.

La Corte ha stabilito per la prima volta che l’estensione della detenzione preventiva di Selahattin Demirtaş non solo è sbagliata, ma è anche mossa dall’obiettivo di soffocare il pluralismo e la libertà di dibattito politico.

La Corte ha dunque ordinato al governo turcodi prendere tutte le misure necessarie per porre fine alla detenzione preventiva del ricorrente” nel più breve tempo possibile e di considerare il fatto che “il prolungamento della sua detenzione preventiva implicherebbe il prolungamento della violazione degli articoli 5.3 e 18 della Convenzione e una violazione dell’obbligo dello stato ad attenersi alle sentenze della Corte”.